Racconti del 31 ottobre: una notte a Moorsfield Manor

Quando arrivo a Upper Berwick ormai è buio da un pezzo. È la notte di un 31 ottobre freddo e umido e, mentre mi incammino lungo la via principale, spero vivamente che la tradizione americana di Halloween abbia risparmiato questo assonnato villaggio immerso nella brughiera inglese. È stato un lungo viaggio: in aereo da Torino a Londra, in treno fino a York e, da qui, un viaggio in autobus che mi è sembrato interminabile. Sogno un letto morbido in quella che sarà, per una notte, la mia stanza in un Bed & Breakfast scovato su internet. Un po’ fuori mano rispetto al centro della cittadina, ma preferisco l’atmosfera di campagna, almeno per un po’, in occasione di questo viaggio di lavoro che mi porterà in alcune città industriali e caotiche del paese.

Spero di non sbagliare strada e di non perdermi prima di arrivare a destinazione. Sembra che qui non viva nessuno, se non fosse per le finestre illuminate delle abitazioni che incontro lungo il cammino.

Vedo finalmente un uomo con un cane al guinzaglio. Sta uscendo di casa e accelero l’andatura per raggiungerlo prima che sparisca nella nebbia che avvolge il paesaggio. Gli chiedo conferma di essere sulla strada giusta per Moorsfield Manor.

“Moorsfield Manor,” ripete. Non aggiunge altro, ma si limita a indicarmi la direzione con gesto vago. Poi strattona il guinzaglio del suo amico a quattro zampe, ritorna sui suoi passi e si affretta a rientrare in casa, sbattendo la porta. Ma non era appena uscito per portare il cane a passeggio? Non importa, meglio sbrigarsi a raggiungere il Bed & Breakfast.

Il resto della camminata dura più del previsto. La nebbia è sempre più spessa e i lampioni sempre più distanti tra loro. Devo sforzarmi di non pensare a un film visto tante volte e alla scena in cui i due protagonisti si perdono nella brughiera e vengono attaccati da un lupo. Stronzate horror, che dimentico non appena vedo l’insegna arrugginita che mi indica di essere arrivata a Moorsfield Manor. Ondeggia leggermente, ma per fortuna il cancello non cigola quando lo apro. Il Bed & Breakfast è un vecchio maniero un po’ isolato ma non è più tetro di tante case di campagna convertite in strutture ricettive.

Driveway matt jones
Photo by Matt Jones on Unsplash

Sono appena a metà del vialetto e già la porta si apre. Il rettangolo di luce incorniciato dalla sagoma della porta è come un faro nell’oscurità e devo strizzare gli occhi per mettere a fuoco la padrona di casa. Mi viene incontro lungo il viale di ghiaia e mi prende sottobraccio.

Come on in, hurry up!” mi sprona, come se mi stessi attardando. Quasi corriamo fino all’entrata e, appena raggiungiamo l’ingresso, la donna chiude la porta alle spalle, facendo scattare i due lucchetti.

Le domando se voglia tenere lontani i bambini del villaggio che a quest’ora saranno in giro a suonare i campanelli, con le loro voci squillanti e i costumi di Halloween, ma lei scuote la testa.

No trick or treat round here,” risponde seria. Per fortuna! Almeno potrò andare a letto presto senza essere disturbata da ragazzini molesti.

La casa è come me la aspettavo dopo aver visto le fotografie online: un vecchio maniero in pietra, costruito su due piani, con tappeti scuri sui pavimenti di quercia e tendaggi pesanti che oscurano tutte le finestre. La padrona mi mostra velocemente la cucina, un po’ fuori moda ma accogliente, e la sala da pranzo. C’è un grande camino di pietra con le braci ancora ardenti, e sarebbe piacevole sedersi su uno dei divani per godersi un po’ il calore. Ma la donna sembra avere fretta di accompagnarmi in camera.

Lungo la scala che porta al secondo piano evito gli sguardi severi degli uomini e delle donne di altri tempi ritratti nei dipinti che occupano ogni centimetro della parete. Antenati della famiglia, o nobili del posto? Non oso chiedere e in ogni modo non sono sicura che la padrona mi darebbe una risposta.

Staircase sean mungur
Photo by Sean Mungur on Unsplash

La mia camera, la Rosebay, è l’ultima in fondo al corridoio. La donna mi mette in mano la chiave e mi augura la buonanotte.

“Ci vediamo a colazione!” La mia voce rimbomba tra le pareti scure del secondo piano e si confonde con il rumore dei passi della padrona, smorzato dalla passatoia che corre lungo tutto il corridoio. Un altro personaggio bizzarro, dopo il tizio a spasso con il cane. Ma l’importante è essere arrivata a destinazione dopo tante ore.

La stanza non è più moderna del resto del maniero. Anche qui i pavimenti sono ricoperti da tappeti talmente consumati da essere quasi trasparenti in certi punti. Non ci sono ritratti alle pareti, per fortuna, ma una pesante tappezzeria con un motivo a fiori sbiadito dal tempo. Il letto è un vecchio affare a baldacchino che ha visto tempi migliori, ma sembra comodo. Tutto quello che mi serve per questa notte è qui, al riparo da quel lungo corridoio buio dall’altra parte della porta.

Dopo aver disfatto lo zaino, non mi resta molto da fare. Potrei approfittarne per fare un bagno caldo, visto che oltre alla doccia c’è una vecchia vasca smaltata. Apro il rubinetto di ottone e scatto all’indietro verso il muro. Un rumore di ferraglia rimbomba tra le piastrelle mentre l’acqua, prima di un cupo color rame, poi sempre più limpida, esce a fatica dalle tubature. Lo ammetto: sono un po’ tesa, ma l’acqua calda e il profumo del sapone alla lavanda mi aiuteranno a calmarmi.

Potrei quasi addormentarmi tra le bolle di schiuma, se non fosse per un fastidioso refolo che arriva dalla stanza. Ormai l’acqua si è raffreddata ed è ora di mettere il pigiama e infilarsi sotto le coperte.

La tenda di broccato color muschio ondeggia leggermente, ma non avevo notato la finestra aperta. Probabilmente la padrona di casa l’aveva lasciata accostata, e un colpo di vento deve averla spalancata. Mi assicuro di chiuderla per bene, per evitare brutte sorprese nel cuore della notte. All’esterno, la nebbia è ormai più pesante dei tendaggi del maniero. Non si vede nemmeno più il viale d’ingresso che ho percorso poco fa.

Window curtains setyaki irham
Photo by Setyaki Irham on Unsplash

Mi infilo tra le lenzuola un po’ troppo fredde per i miei gusti, sperando che il piumone riesca a riscaldarmi. Potrei leggere qualche pagina del libro che ho iniziato in aereo, ma non mi sento dell’umore giusto per immergermi nella storia di un’istitutrice incaricata di badare a due orfani in una dimora sperduta dell’Essex.

Il sonno non tarda ad arrivare, ma presto vengo svegliata da un rumore che arriva dall’esterno. Non si tratta di passi nel corridoio: è rumore diverso, lieve ma regolare. Non ci sono alberi in cortile, per cui non rischio di ritrovarmi come Lockwood a combattere con i rami che sbattono contro il vetro. Per sicurezza mi avvicino alla finestra: come pensavo, non si vede nulla se non il mio volto pallido riflesso nei pannelli rettangolari.

Il rumore torna a farsi sentire. Mi avvicino alla porta, cercando di calmare i battiti del cuore prima di far girare la chiave nella serratura. Apro uno spiraglio e sbircio fuori. È completamente buio. Ovviamente non c’è nessuno. Forse, trattandosi di una vecchia casa, ci sono dei topi nel sottotetto. Un’immagine che non mi tranquillizza, ma i roditori sono meglio di una moglie pazza in soffitta. Torno a letto, dopo essermi assicurata di aver chiuso a chiave la porta.

Mentre mi sforzo di addormentarmi, lo sento. Questa volta il rumore è più forte e più definito. È come se qualcuno stesse grattando il legno della porta. A questo punto sono completamente sveglia. Dato che la cucina è a disposizione degli ospiti, decido di scendere al piano di sotto. Con un po’ di fortuna troverò un bollitore e una bustina di camomilla da mettere in infusione e bere davanti al camino.

Uso la torcia del cellulare per farmi luce lungo il corridoio, sentendo le assi del pavimento abbassarsi in maniera quasi impercettibile a ogni passo. Chissà in quale stanza dorme la padrona. Sarei maleducata a bussare a caso, svegliando uno degli altri ospiti per chiedere se qualcuno ha sentito i rumori misteriosi?

Gli scalini di legno scricchiolano sotto i miei piedi scalzi e, quando raggiungo la cucina, mi sento rassicurata. In questa stanza tutto è caldo e accogliente, dalla luce che illumina ogni angolo, ai mobili di formica fuori moda ma di un giallo vivace. C’è il bollitore, come pensavo, e piccola selezione di bustine. Manca la camomilla, ma mi accontento del tè. Con la tazza fumante tra le mani attraverso l’ingresso, controllando che la porta sia sempre chiusa con i due lucchetti, diretta verso la sala da pranzo. Non so dove sia l’interruttore, ma la luce della lampada sul tavolino in un angolo mi permette di vedere la sagoma di una persona seduta sul divano davanti al camino dove qualcuno nel frattempo ha ravvivato il fuoco.

Fireplace stephane juban
Photo by Stéphane Juban on Unsplash

Per un attimo penso che possa trattarsi della padrona ma, appena mi avvicino, mi rendo conto che si tratta di una ragazza che avrà a malapena vent’anni.

Sembra che non mi abbia sentito entrare, o comunque non è per niente disturbata dalla mia presenza. Le chiedo il permesso di sedermi sulla poltrona accanto al divano, e lei fa un cenno di assenso con la testa. La sua pelle è diafana e i lunghi capelli biondi sono umidi, come se fosse appena uscita dalla doccia. Indossa una lunga camicia da notte bianca decisamente fuori moda, con quelle che, nella penombra, potrebbero sembrare chiazze d’acqua. Ma forse è solo il riverbero della luce della lampada e delle fiamme del camino in una stanza poco illuminata.

“Sta piovendo fuori?” le domando sorseggiando il tè bollente.

Per la prima volta mi guarda, ma sembra che il suo sguardo mi attraversi. È come se stesse osservando un punto lontano alle mie spalle.

“No,” bisbiglia. Dovrei farmi gli affari miei, ma cosa ci fa in sala da pranzo questa ospite in camicia da notte e con i capelli bagnati? Non dovrebbe essere a letto? Ma d’altra parte magari anche lei trova bizzarra la presenza di una straniera in pigiama nel cuore della notte. Forse anche lei è stata svegliata dai rumori di poco fa. Glielo chiedo.

“È stato un incidente.”

Mi domando di che incidente stia parlando. Si riferisce ai rumori? La immagino nella sua stanza: magari era sotto la doccia, quando ha sentito qualcosa di insolito e si è vestita per uscire a controllare, senza nemmeno asciugarsi come si deve. Spiegherebbe la camicia da notte e i capelli bagnati.

“Il ruscello, è stato un incidente.”

Non so a cosa si stia riferendo e inizio a pensare all’ipotesi del sonnambulismo.

“Parli dei rumori al secondo piano?” le domando.

Lei scuote la testa. Dunque non li ha sentiti e, a questo punto, inizio a dubitare di aver sentito qualcosa io stessa. Le spiego di aver avuto l’impressione che qualcuno grattasse su una superficie di legno, aggiungendo che potrei aver immaginato tutto.

“No, è stata la bambina,” dice guardando il fuoco.

Ah, allora è stata la bambina! Chissà di chi. Della ragazza seduta a un paio di metri da me? È così giovane da sembrare lei stessa una ragazzina, ma è una spiegazione plausibile. Una bimba che si è svegliata, è uscita dalla stanza senza che la madre se ne accorgesse e ha provato a entrare in una delle altre camere, senza ricordare quale fosse la sua.

“Ora sta dormendo?” le chiedo.

La ragazza annuisce e, senza dire altro, si alza ed esce dal salone. Anche io vorrei tornare a dormire, ma prima finisco quello che rimane del mio tè ormai tiepido. Lungo il corridoio del secondo piano, noto tra il pavimento e la fessura della porta della stanza Cottongrass un filo di luce sottile come la lama di un coltello. Deve essere qui che dormono la ragazza e la sua bambina. Arrivata in camera, mi infilo sotto le coperte e mi addormento immediatamente.

Al mattino vengo svegliata dai raggi del sole che filtrano attraverso le tende accostate. È una giornata magnifica, e i colori della brughiera attraverso la finestra variano dal giallo al marrone, dal verde muschio all’arancione.

Il tavolo della colazione è apparecchiato per una sola persona. La padrona di casa è visibilmente meno tesa della sera precedente e, con un sorriso, mi domanda se abbia dormito bene.

Non molto, a dire la verità, ma prima di raccontarle del mio sonno disturbato le chiedo della giovane donna che, a quanto pare, è partita all’alba senza che io abbia sentito né lei né la bambina.

“La ragazza non fa colazione con noi?”

La donna mi dà le spalle mentre è intenta a versare la spremuta d’arancia in un bicchiere. La sua schiena si irrigidisce e, nonostante stringa le dita tremanti intorno alla caraffa, non riesce a impedirle di ondeggiare pericolosamente, facendo sì che un po’ di liquido arancione si rovesci sul piano di lavoro.

“Quale ragazza?”

“Quella che era qui ieri sera, l’ospite della stanza Cottongrass,” le spiego.

Lei si volta lentamente verso di me, appoggiando il bicchiere sul tavolo. La superficie della spremuta si increspa.

“L’hai vista?” mi chiede. L’ho vista, le dico, e le ho anche parlato. Racconto alla padrona di casa dei rumori che mi hanno svegliata nel cuore della notte e della mia decisione di tranquillizzarmi scendendo in cucina per prepararmi una tazza di tè.

“Era seduta sul divano nella sala da pranzo,” aggiungo. “Con la camicia da notte e i capelli bagnati.”

Sposta la sedia di fronte alla mia, facendola raschiare rumorosamente sul pavimento. Si siede pesantemente, appoggia i gomiti sul tavolo e si regge la fronte con una mano.

“Non c’erano ospiti ieri nella Cottongrass. Né nelle altre stanze.” La sua voce sembra il pigolio di un uccellino.

Mi sta prendendo in giro, è evidente, ma non mi sto divertendo. L’ho vista con i miei occhi e le ho anche parlato.

“Non può essere. C’è anche una bambina,” dico alla donna seduta di fronte a me. A questo punto inizio a pensare che sia affetta da qualche disturbo della personalità, o da perdita della memoria a breve termine. “Ha parlato di un ruscello, ha detto che è stato –”

“Un incidente,” mi interrompe prima che io possa completare la frase. “È stato un incidente.”

Hands daniel jensen
Photo by Daniel Jensen on Unsplash

Vorrei che si stesse prendendo gioco di me, ma una persona che scherza non avrebbe le nocche bianche a forza di stringere i pugni, né i muscoli del collo così tesi. Le domando cosa stia succedendo, ma è come se non mi sentisse. Mi alzo dalla sedia e mi avvicino, scuotendola leggermente. La donna sembra risvegliarsi dal suo stato di trance.

“La ragazza e la bambina. Sono annegate nel ruscello.” Quello che dice non ha senso. Non capisco cosa intenda e devo scuoterla più forte per le spalle per farla parlare.

La sua risposta è un bisbiglio: “La ragazza e la bambina. Sono tornate.”


Niente di quello che ho scritto sopra è mai successo, per fortuna. È il frutto della mia fantasia e delle immagini di tanti libri e film che mi hanno terrorizzato negli anni. Con il racconto di questa notte infestata partecipo all’iniziativa #raccontidel31ottobre, ideata da Orsa nel Carro.

Cover photo by Ján Jakub Naništa on Unsplash

33 pensieri riguardo “Racconti del 31 ottobre: una notte a Moorsfield Manor

  1. Ma è meraviglioso questo racconto! ❤
    Oh signore, il finale è stato veramente una sorpresa, quel “sono tornate”, associato all’immagine, è da pelle d’oca. A conti fatti erano meglio i ragazzini molesti 😛
    Chi sono, com’è successo? E soprattutto cosa vogliono dalla proprietaria di Moorsfield Manor? Non dirmi che dobbiamo attendere il 31 ottobre del 2023 per saperlo!
    Bello, veramente bello, parole che si trasformano in immagini: dall’incontro con il tizio col cane agli sguardi severi dei ritratti fino ai passi smorzati dalla passatoia nel corridoio. Mi è sembrato di leggere un brano di un maestro della suspence. Bella e potente anche l’immagine della nebbia più pesante dei tendaggi. E le citazioni di Henry James e della Bronte 😀 Silvia devi scrivere, intendo scrivere qualcosa da dare in pasto a una casa editrice.
    Grazie per questa perla 🙂
    PS: quando sono arrivata alla sagoma sul divano ho detto Oddio ad alta voce!
    PPS: lo so è irrazionale… ma ho toccato i cuscini del mio divano per controllare che non fossero umidi…

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    1. Decisamente meglio i ragazzini molesti delle due “ospiti-non-ospiti”! Toccherà aspettare fino al prossimo anno? Sto quasi quasi pensando a una seconda puntata prima di Natale, magari una sorta di nightmare before Christmas…
      Ah, Bronte e Henry James 😍 Sai che comunque Il Giro di Vite mi mette i brividi solo a pensarci???
      Io prima di andare a dormire invece ho cercato di non immaginare un Pinocchio con la faccia di It!
      Grazie 😘

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  2. Bravissima!!! Un bel racconto assolutamente credibile fino all’ultima riga; sei un’ottima narratrice, hai saputo dosare perfettamente la suspence e le descrizioni dei luoghi – si vede che li conosci bene – contribuiscono a creare un effetto reale. Ancora complimenti!

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  3. Cara Silvia, mi hai tenuta incollata allo schermo fino all’ultima parola. Giurerei di aver visto un posto del genere e di aver sentito storie simili da guide turistiche spiritose. Grazie per questo racconto alternativo, per non aver suggerito di andare a vedere la città X o di partecipare all’evento Y, ma di avermi fatta appassionare ad un racconto e di avermi fatta viaggiare nel tempo e nella memoria, ricordandomi di un viaggio lontano e di guide turistiche che si prendevano gioco di me.

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  4. Il brivido lungo la schiena che ho sentito alla fine è la prova che hai fatto centro con questo racconto. Ho dimenticato dove mi trovassi e per un attimo ero lì, a Moorsfield Manor sentendo il calore del fuoco, gli scricchiolii del legno sotto i piedi ed il fumo della tazza di tè. Complimenti Silvia, avrei voluto che continuasse!

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  5. Non ti ho mai scritto quanto mi è piaciuto questo racconto, tanto che me lo sono andato a rileggere anche oggi. In estate, da sempre, leggo solo thriller e horror e questo racconto breve ci stava talmente bene che non ne ho potuto fare a meno. Una descrizione ottima Silvia, sai tenere il lettore sulla pagina fino alla fine. Per favore scrivine ancora, io sono qui che aspetto!

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