In Viaggio Col Capo: le figuracce del boss

Viaggiare con il mio ex boss non era mai piacevole. Innanzitutto per lo stress continuo che doveva sopportare chi trascorreva più giorni insieme a lui ricoprendo la funzione di tuttofare. Ma anche per i suoi comportamenti imprevedibili che spesso costringevano noi, poveri sottoposti, a cercare di rimettere insieme i cocci che nemmeno la super colla sarebbe riuscita ad attaccare. Ricordate per esempio le traduzioni improvvisate, oppure i regali che puntualmente dimenticava in giro?

Ma c’erano anche quei casi in cui si rendeva protagonista di alcune figuracce diventate memorabili col tempo e che, ancora oggi, ricordo con una risata insieme ai miei ex colleghi. Mi sono sempre chiesta come sia possibile che un uomo come lui possa comportarsi (perché credo che lo faccia ancora) in maniera così vergognosa in certe situazioni. Forse perché quando arrivi in cima ti credi il padrone del mondo? Chissà.

Le figuracce del boss: ma che spettacolo pazzesco!

Non so quanti di voi conoscano il piemontese e le parolacce in questo dialetto, per cui se non sapete cosa significhi la parola piciu, andate a cercarla su Google. Nel frattempo, vi lascerò nel dubbio dicendovi soltanto che se qualcuno si rivolge a voi con questo appellativo, non vi sta facendo un complimento.

Per fortuna il nostro ospite californiano, un noto produttore di vino della Napa Valley, non parla il piemontese, pur essendo di origini italiane. Quando ci invita nella sua azienda con villa multimilionaria annessa, ci porta a fare un giro tra i suoi possedimenti e, alla fine del grand tour, ci invita sul terrazzo panoramico per una degustazione di vini. La vista è magnifica: le colline californiane, il tramonto, le vigne. Ma il boss non è d’accordo.

Secondo lui, il vigneron è semplicemente un bifolco arricchito che ha fatto fortuna rovinando il paesaggio e piantando viti in ogni centimetro di terreno per trarne profitti immensi, senza preoccuparsi della salvaguardia dell’ambiente. Non riesce a trattenere il suo disappunto.

“Che piciu!” esclama sul terrazzo, bicchiere di vino in mano e tramonto davanti agli occhi.

“What did he just say?” mi chiede il nostro ospite.

Vineyards
Photo by Boudewijn Boer on Unsplash

Bella domanda, caro milionario dello Chardonnay! Cosa rispondergli? In un millesimo di secondo mi vengono in mente diverse possibilità: faccio finta di non aver sentito, rispondo al cellulare che non sta squillando, fingo di sentirmi male, chiedo dov’è il bagno perché devo incipriarmi il naso. Invece invento una traduzione.

“Ha detto che è uno spettacolo pazzesco!”

Sì, come no. Mi avrà creduto?

Le figuracce del boss: la traduttrice inadeguata

Durante un viaggio in Norvegia, i nostri ospiti organizzano per il boss un programma che nemmeno il papa in viaggio apostolico. Sono talmente premurosi da trovarci un’interprete, in modo che possa tradurre gli interventi e le presentazioni del boss direttamente dall’italiano al norvegese, evitando il passaggio attraverso l’inglese. Inutile dire che sono sollevata: una responsabilità in meno per me. Peccato che la persona scelta dai norvegesi non sia una vera e propria traduttrice, ma semplicemente una ragazza con papà di Trondheim e mamma di Verona. Quando la incontriamo, è innegabile che il suo italiano sia ottimo, ma il boss dubita che sia all’altezza della situazione.

Purtroppo ha ragione, perché durante il primo intervento alla fine della cena con le autorità locali, la ragazza è evidentemente in difficoltà. Mi chiede di mettermi vicino a lei, in modo da poter suggerire in caso di necessità. I problemi non tardano ad arrivare: il capo pronuncia la parola “veleno” e la traduttrice improvvisata mi guarda terrorizzata.

“Cosa vuol dire veleno?”

“Poison,” bisbiglio nella sua direzione.

“Poison, poison,” ripete lei facendo di sì con la testa.

Impossibile sperare che il boss non si accorga di nulla. Si innervosisce, perché nel frattempo il suo discorso non è stato tradotto. Per spronare l’interprete, inizia a ripetere anche lui la parola incriminata.

“Poison, poison, poison!”

Chissà se sono l’unica nella sala a pensare ad Alice Cooper e a immaginare il boss con i capelli lunghi e i pantaloni di pelle mentre corre avanti e indietro su un palco urlando you’re poison nel microfono? Sta di fatto che, ormai spazientito, la licenzia seduta stante intimandole di non tornare il giorno dopo, causando grande imbarazzo tra gli ospiti e le autorità che assistono alla scena.

Le figuracce del boss: la cena cancellata

Per fortuna questo episodio non l’ho vissuto in prima persona. La sfortuna è una ruota che gira e in occasione di un viaggio in Canada, tocca alla mia collega Lisa accompagnare il boss. Anche in questo caso, le persone che hanno invitato il capo fanno il possibile per rendere il suo soggiorno il più piacevole possibile.

Per iniziare con il botto, la prima sera organizzano una cena in un rinomato ristorante di Vancouver Island. Peccato che però il capo non ne abbia nessuna voglia: è stanco per il volo, ha patito il jetlag, non vuole stare in mezzo alla gente. Chiama Lisa e le dice di inventarsi qualche scusa. Presa dal panico, gli domanda che tipo di scusa. Lui risponde laconico, suggerendole un’intervista telefonica, o un articolo urgente da consegnare in serata.

Con la morte nel cuore, la mia collega chiama il referente canadese, spiegandogli che purtroppo il boss non parteciperà alla cena perché deve ultimare un articolo da inviare a una nota testata giornalistica italiana. Ormai è tardi per annullare, per cui si danno appuntamento al ristorante all’ora convenuta. Alcuni degli invitati cancellano la partecipazione appena sanno della defezione della star, ma per fortuna alcuni decidono di non tirarsi indietro, risparmiando alla mia collega l’imbarazzo di presentarsi al ristorante e cenare da sola a un tavolo per dieci persone. Ma, purtroppo per Lisa, l’imbarazzo quello vero deve ancora provarlo.

Arrivati al main course, la sventurata e i suoi commensali vedono quello che non avrebbero mai voluto vedere: il boss che attraversa la sala del ristorante insieme ad altri due uomini. Ridono e si danno pacche sulle spalle come vecchi amici e bisbigliano come cospiratori. Si avviano a passo spedito verso il guardaroba e, da qui, verso l’uscita. Il capo non vede né Lisa né le persone al tavolo con lei ma tutti vedono lui e, contemporaneamente, fissano la poveretta, colpevole di essersi resa complice della bugia del capo. Ma sul serio, con tutti i ristoranti di Vancouver Island, proprio qui doveva andare a mangiare con i suoi amici?

Ormai Lisa non osa alzare gli occhi dal piatto per timore di incrociare gli sguardi accusatori dei canadesi che avrebbero voluto essere a cena con lui e non con lei, e ha addirittura l’impressione di sentire le voci nelle loro teste che ripetono: articolo di giornale da scrivere, come no! A suo dire, quella fu la cena più lunga di tutto il viaggio. Non ho nessun dubbio.

Sicuramente fu la figuraccia peggiore del boss.

Illustrazione di Stefano Tenti – In World’ Shoes: tutti i diritti riservati all’autore

19 pensieri riguardo “In Viaggio Col Capo: le figuracce del boss

  1. Ma è veramente uno sfacciato! 😂 Gli ultimi due episodi sono incredibili, povera ragazza italo norvegese e povera Lisa, una cena amarissima dev’essere stata. Bicchiere di vino in terrazza con vista sulle colline infuocate dal tramonto californiano: io me lo immagino vestito in completo bianco e col ghigno di De Niro mentre esclama quell’espressione (non conoscevo il termine ma mi sa che a lui si addica perfettamente) 😂

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  2. Conosco parecchie persone del calibro del tuo ex capo che non evitano (e non eviteranno mai) queste figuracce: un po’ perché se le vanno a cercare e un po’ perché non riescono a trattenersi! C’è da dire però che il dialetto spesso salva dai fraintendimenti però se si deve tradurre… Ahi ahi!

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  3. Quando penso che di peggio no si possa fare ecco che lui se ne inventa un’altra delle sue, non so con quale faccia la tua collega sia riuscita a reggere fino alla fine della cena dopo che tutti i commensali hanno visto il boss andarsene via con altre persone.
    Non commento neanche la poeticità di che piciu, che mi sono andata prontamente a cercare su google.
    Esemplare poi come sappia leggere le situazioni *insert sarcasm here* licenziando in tronco la povera traduttrice, anche se traduttrice non lo era.

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