Culture shock a New York

Arrivare a New York per la prima volta può essere traumatico. Con otto milioni di abitanti su una superficie di più di settecento chilometri quadrati e oltre venti milioni di persone nell’area metropolitana, viene spesso definita una megalopoli. Senza contare i sessanta milioni di visitatori che ogni anno mettono piede in questa città. Per molte persone, trovarsi in un contesto simile senza essere preparati potrebbe essere fonte di shock.

Se non fisico e mentale, sicuramente in tanti hanno subito un culture shock tra le strade e le avenue, ai piedi dei grattacieli che tolgono il respiro e nelle stazioni della metropolitana in cui si rischia di perdere l’orientamento.

Anche in questa occasione, come la volta scorsa, devo ringraziare Teo e Kry, i blogger di Nerd in Spalla, per l’ispirazione di questo post semiserio.

Culture shock a New York: i piani degli edifici

Quando entriamo in un edificio dalla strada, siamo abituati a definire quello spazio come piano terra. Dopo una rampa di scale ci troviamo al primo piano, dopo due al secondo, e via dicendo. Ovvio, no? No, perlomeno non a New York e, in generale, negli Stati Uniti.

New York City Streets

Qui la numerazione dei piani degli edifici si basa su un concetto diverso: il piano a livello della strada non sarà il ground floor, bensì il first floor. Forse perché è il primo in cui ci si trova entrando in un palazzo? Chi lo sa, quello che importa è sapere che se in albergo mi dicono che la mia stanza si trova al third floor, se mai decidessi di non usare l’ascensore, dovrò iniziare a contare il primo piano partendo da quello della strada.

Culture shock a New York: le distanze misurate in blocks

Buona parte di Manhattan è un reticolo di strade e di avenue che si incrociano formando una sorta di scacchiera all’interno della quale è relativamente facile orientarsi, a patto di sapere se la nostra meta si trova a nord, a sud, a est o a ovest rispetto al punto in cui ci troviamo. Magari ci vuole un po’ per abituarsi, ma non è troppo complicato. Quello che può essere complicato è rendersi conto delle distanze.

Street art Williamsburg Brooklyn

Se chiedete indicazioni a un newyorchese su come fare per raggiungere una certa destinazione, sarà la prassi sentirvi rispondere che il posto in cui volete andare è solo five or six blocks away. Ora, tutti sappiamo che un block è un isolato, ma quanto misura un isolato? Secondo le leggende metropolitane, un block di Manhattan equivale a circa duecentosessanta piedi, o a un’ottantina di metri. Utile da tenere a mente per capire al volo, quando ci danno delle indicazioni, se si tratta di una distanza facilmente percorribile a piedi.

Culture shock a New York: il cambio di scarpe

Non stupitevi se tra le strade di Manhattan, nelle ore di punta, vi capiterà di vedere donne e uomini in completi eleganti ma con le scarpe da ginnastica ai piedi. Potrebbe sembrare un nuovo trend per rendere meno austero un completo giacca e cravatta o gonna e camicia di seta, ma in realtà il segreto sta nella comodità.

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Infatti, chi lavora negli uffici a New York, con buona probabilità deve, ogni mattina, prendere autobus e treni e poi camminare per svariati blocks per arrivare al lavoro. Considerando che i newyorchesi sono sempre di corsa, sarebbe difficile muoversi comodamente e velocemente indossando le scarpe eleganti o i tacchi che sono d’obbligo in ufficio. Così è normale vedere l’abbinamento completo più sneaker: queste ultime vengono poi sostituite da un paio di scarpe formali sul posto di lavoro.

Culture shock a New York: l’aria condizionata

Nonostante io sia una fan dell’aria condizionata, a New York in estate ho sempre avuto freddo al chiuso. Che si tratti di musei, di ristoranti o di negozi, la temperatura si avvicina ai valori del Polo Nord. Non importa se fuori ci sono a malapena venticinque gradi: all’interno di un edificio (ma anche nei vagoni della metropolitana) non ci saranno mai più di sedici o diciassette gradi.

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Peggio ancora quando fuori ci sono quaranta gradi con il novanta per cento di umidità: passare da un posto chiuso all’aperto e viceversa è un vero e proprio shock, non solo culturale. Per questo, per quanto possa sembrare assurdo, è bene ricordarsi di mettere sempre in borsa una felpa, anche nei mesi più caldi.

Culture shock a New York: i saluti nei negozi e nei locali

In occasione del mio primo viaggio a New York, secoli fa, rimasi colpita dalla gentilezza del personale di negozi, caffetterie e ristoranti. Tutti quanti, appena entrata, mi chiedevano How are you? A cui io, educatamente, rispondevo con entusiasmo: Good, thanks. And you? Non ho mai fatto caso se mi guardasssero in maniera strana. Sicuramente sì.

Shop New York

Il fatto è che la commessa di Bloomingdale’s non ci sta chiedendo come stiamo perché, fondamentalmente cazzogliene. Ci sta solo salutando. Per cui, quando entriamo in un negozio o in un locale e la persona che ci accoglie ci dice How are you oppure Hey, how you doing, non dobbiamo dire davvero come sta andando la nostra giornata. Andrà benissimo rispondere con un semplice Hey, how you doing. Come un normale saluto. E poi dicono che noi piemontesi siamo falsi e cortesi.

Conoscete altre abitudini newyorchesi diverse da quelle a cui siete abituati e che per voi sono state uno shock culturale?

24 pensieri riguardo “Culture shock a New York

  1. Mi hai fatto troppo ridere con i saluti dei commessi perché anche io, da personcina educata, rispondevo come te “Good and you?” e ci rimanevo male perché rimanevano poi indifferenti. Ho capito che era solo un modo di salutare dopo alcuni giorni! Invece il fatto di cambiarsi le scarpe per prendere i mezzi è perfetto anche per Milano e io l’ho fatto per molto tempo, tacchi in ufficio e sneakers sulla metro

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  2. Amo New York, mi è sempre parsa, ogni volta che ci sono stata, un posto dove accadono le cose. Quali cose? Booh, qualunque cosa, non ne ho una di preciso in mente, ma è l’atmosfera di attività, di vita che brulica, a colpire la mia immaginazione, come se stando lì sia più realizzabile ogni idea

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  3. Bene , io ho New York nell’anima all’ora. Porto sempre con me le scarpe eleganti, mettendole solo nel momento in cui mi occorrono, poi le sostituisco subito con un paio di snakers. E stranamente anche io conto i piano partendo dal piano terra, che per me è sempre stato il First! Infatti io abito al secondo piano, ma al citofono dico a tutti di salire al terzo piano, facendo fare a tutti sempre scale in più.

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  4. L’aria condizionata per me è stato un vero problema: ci sono stata a Luglio del 2015 e non esagero se dico che tra l’esterno e l’interno lo sbalzo era di almeno 15 gradi. Ciò mi ha procurato una bella bronchite che mi è durata davvero troppo. Per le calzature non ci ho fatto particolarmente caso ma ho notato che molti si vestono in maniera assurda… E va bene così perché cazzogliene. Questa cosa la invidio parecchio!

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  5. In certi negozi (per esempio ricordo quello della Lego) non solo c’era l’aria condizionata a bomba, ma pure dei ventilatori giganti! È come dici tu, la felpa in estate ti serve se devi entrare da qualche parte.

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  6. Ciao Silvia, ti dico solo che a Bologna il primo piano lo chiamano piano ammezzato, anche se è a tutti gli effetti un primo piano. Se ne ignorano ovviamente i motivi ma io dico: perché complicarsi la vita e ostinarsi a non voler chiamare le cose per quello che sono?

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  7. Interessanti questi spunti. Quando hai parlato del cambio scarpe mi è venuto in mente un vecchio film, “una donna in carriera” dove la protagonista partiva alla mattina in gonna, giacca e sneackers per poi cambiarsi le scarpe in ufficio, all’epoca era una novità ora è la normalità e vedo spesso anche persone a Bologna con questo abbigliamento.

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  8. Grazie a te per questi bellissimi post, per noi è super divertente sia scrivere che leggere questi pezzi che descrivono quelle “prime impressioni” che lasciano a bocca aperta chi arriva per la prima volta in una città o nazione. Non abbiamo ancora affrontato New York, ma faremo tesoro dei tuoi insegnamenti.

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  9. Quando mi ero trasferita in UK, per mesi ho risposto alla classica domanda “how are you, quindi quello non sarebbe un culture shock se andassi a New York. Stessa cosa per le sneakers con i completi, anche a Londra, in metro la mattina presto e nell’ora di punta pomeridiana l’ho notato spesso.

    Sicuramente quella del condizionatore è una cosa tutta americana, un po’ come il ghiaccio di default in qualsiasi bevanda.

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    1. Sì sì anche io lo facevo in UK all’inizio, anche perché sembra brutto rispondere a una “domanda” nello stesso modo 😂 Per di più a New York lo dicono ancora con più slancio quindi è facile credere all’inizio che sia una vera domanda!
      Vero, non mi era venuto in mente del ghiaccio in tutte le bevande!

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  10. Bellissimo questo post, decisamente particolare! Purtroppo …nver been in NY ma ovviamente mi piacerebbe tantissimo andarci, è un pò il sogno di sempre ecco, cattura già solo leggendo un libro ambientato lì, guardando serie e film dove lei stessa ne è un pò la protagonista…favoloso! I saluti sono così anche altrove, esiste comunque questa “forma” di educazione anche in Europa, o almeno io lìho riscontrata! Questo fattore dell’aria condizionata non lo sapevo, la felpa è il minimo…penso mi ucciderebbe in queste condizioni di utilizzo, e che Dio benedica l’aria condizionata ma a patto di non ammalarsi ecco…Serena

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    1. Devi assolutamente andarci! Non mi stanca mai e se riuscissi ad organizzarmi ci tornerei almeno una volta all’anno.
      Per quanto riguarda i saluti, in realtà credo che si tratti di una questione culturale. Quando qualcuno che non ho mai visto prima entra in ufficio da me, non mi verrebbe mai da dire con entusiasmo: “Come va oggi?” Basta solo sapere, a seconda del contesto e del paese, come rispondere per non sentirsi “strani” 😂

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  11. Post insolito e divertente, un bel remind per andare a New York. L’abitudine delle scarpe si vede ormai anche da noi in effetti vuoi mettere la comodità, come si fa a girare tutto il giorno con i tacchi! Sull’aria condizionata no comment terribile ovunque.

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