Una giornata a Betlemme

Ci sono dei posti che chiunque dovrebbe vedere almeno una volta nella vita, come la East Side Gallery a Berlino, il KL di Auschwitz, la città di Betlemme. Non sono visite da prendere a cuor leggero, ma esperienze che secondo me andrebbero fatte soprattutto per capire cosa succede quando si vuole a tutti i costi individuare un nemico del popolo trasformandolo nella causa di ogni male. Ma questo non è un blog di politica e del resto non ho le competenze per fare approfondimenti di questo tipo.

Betlemme è una realtà che fa riflettere e che lascia l’amaro in bocca. Sono contenta di aver deciso di non passare la notte in città, preferendo alloggiare a Gerusalemme, perché non avrei voluto rimanere più del necessario. Non è difficile raggiungere Betlemme: dalla vicina Gerusalemme ci sono tantissime visite guidate organizzate da tour operator locali e da realtà come Get Your Guide o Musement, ma noi abbiamo preferito chiedere alla reception dell’hotel di prenotarci un trasferimento privato per non essere vincolati agli orari di un gruppo.

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Pochi chilometri separano Gerusalemme da Betlemme, ma tra le due città c’è un abisso. Non voglio fare confronti, ma appena superato il primo check point si ha l’impressione di essere su un altro pianeta. Case fatiscenti, spazzatura di ogni tipo gettata sui marciapiedi, macchine che cadono a pezzi parcheggiate o abbandonate sul ciglio della strada.
La nostra prima fermata è lungo il muro: vediamo una minima parte dei 570 chilometri che costituiscono la barriera costruita per lo più sul territorio palestinese.

Betlemme Wall

Da una parte considerato un “salvavita”, dall’altra una fonte di vergogna e uno strumento di repressione. Il messaggio dei tanti street artists che qui hanno lasciato il segno è molto chiaro e non lascia spazio a interpretazioni. Ci fermiamo per una ventina di minuti, camminando lungo il muro, fermandoci a leggere le scritte disegnate con lo spray e a fare fotografie. Come un po’ ovunque nel mondo, nemmeno qui manca la coppia che si fa fotografare facendo il segno della vittoria, oppure il gruppo che esce da uno dei negozi di “wall souvenirs” con le borse cariche di presunti pezzi di muro autografati da Banksy in persona.

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Mi chiedo quanto poco sensibili siano alcune persone di fronte a certe situazioni. Trovarsi davanti al Memoriale del Muro di Berlino o peggio ancora ai piedi di un muro come quello di Betlemme non è esattamente come trovarsi al Van Gogh Museum. Capisco benissimo il punto di vista di tanti palestinesi secondo i quali il muro sta diventando un passatempo come un altro per i turisti, con il rischio che la sua esistenza non venga più considerata come una limitazione della libertà, ma come uno degli highlights della città.

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Ne parliamo con il tassista che ci accompagna, che ci spiega come il muro abbia inglobato la maggior parte delle risorse idriche e dei terreni agricoli che di fatto sono stati sottratti ai palestinesi. In teoria, il muro dovrebbe seguire il percorso della Green Line, ma in realtà se ne discosta di diverse decine di chilometri. L’impatto sulla popolazione palestinese è impressionante: oltre al fatto che un’altissima percentuale di contadini non può più avere libero accesso alle terre, ogni giorno migliaia di palestinesi devono fare ore di coda ai check point perché lavorano in territorio israeliano. Ancora una volta, le decisioni prese ai più alti livelli hanno conseguenze devastanti sulla popolazione.

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La Basilica della Natività non è molto lontana ma c’è un traffico incredibile. Non ci sono semafori, non si vede una rotonda e vale la regola generale del più scaltro. Arriviamo lungo la strada che porta alla Piazza della Mangiatoia tra buche, salti e sorpassi azzardati. Il nostro autista ci aspetterà qui perché non può proseguire oltre, ma ci spiega come raggiungere la nostra destinazione. Regnano la confusione, l’odore dei gas di scarico misto a quello di olio fritto, e fa caldo. Camminando in salita superiamo alcuni garage che sono stati trasformati in negozi: con il portone aperto, in una stanza di pochi metri quadrati al livello della strada, qualcuno ha sistemato un forno e prepara il pane, mentre altri hanno messo una friggitrice sul marciapiede e vendono falafel ai passanti. Mi fa sorridere il fatto che anche qui, nonostante tutto, il modello americano sia in qualche modo un obiettivo da imitare: notiamo almeno due bar con il logo e i colori di Starbucks ma con la scritta “Squarebucks”.

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In pochi minuti arriviamo alla Basilica della Natività, alla quale si accede attraverso la Porta dell’Umiltà, un passaggio talmente piccolo da costringere anche i meno alti a chinarsi. Per accedere alla Grotta della Natività, in fondo alla basilica, c’è una coda lunghissima che occupa un’intera navata. Nonostante le nostre buone intenzioni, ammetto che la tentazione di lasciar perdere è fortissima: come è già successo a Gerusalemme, anche qui regolarmente arrivano dei gruppi di pellegrini – perlopiù italiani, rumeni e russi – che superano la coda fregandosene delle proteste e si infilano direttamente nella grotta. La situazione diventa ancora più insostenibile quando si crea un imbottigliamento all’altezza dello strettissimo passaggio che conduce alla sezione della basilica che ospita la grotta.

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Immaginate la gente che vi spintona da dietro, da sinistra, da destra. In più aggiungete i gruppi di pellegrini che in malo modo si infilano saltando la coda, il fumo dell’incenso, le rumene che pregano ad alta voce e la stanchezza dopo due ore di attesa. Alla fine arriviamo agli scalini che conducono alla cripta, dove il rischio di mettere un piede in fallo e venire schiacciati dai fedeli è notevole. All’interno, ognuno può scattare una sola fotografia nel punto in cui si ritiene sia nato Gesù, ma la maggior parte della gente se infischia. Invece di guardare, scattare e uscire dalla parte opposta come suggerito dalla guardia, in tanti si inginocchiano nella grotta, toccano la pietra, piangono e pregano.

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Non sono credente e la visita a questi luoghi sacri non mi ha fatto cambiare idea, ma queste scene che rasentano il fanatismo faccio fatica a capirle. Anzi, mi piacerebbe conoscere il punto di vista di chi, come me, ha visitato la Grotta della Natività a Betlemme, o la Chiesa del Santo Sepolcro a Gerusalemme.

Tornare all’aria aperta è quasi un sollievo. L’autista ci aspetta al punto concordato e ci chiede se abbiamo voglia di fare visita a un amico che vende oggetti intagliati in legno di ulivo. Sa molto di trappola per turisti, ma il cartello all’esterno del laboratorio spiega che i proventi sono devoluti a un’associazione che sostiene i ragazzi disabili. Non so se via vero ma decido di crederci: in fondo per gli abitanti di Betlemme il turismo è una fonte di sostentamento, e se posso dare un contributo comprando qualche ciotola di ulivo, ne sono più che felice perché ho l’illusione di fare una minuscola parte per alleviare le sofferenze di questo paese.

38 pensieri riguardo “Una giornata a Betlemme

  1. In merito alle scene di isterismo/fanatismo tanto nella Grotta della Natività a Betlemme che nel Santo Sepolcro ho scritto anche io. Sarà che non sono credente ma le ho trovate vergognose. Persone con centinaia di rosari sfregati sui luoghi sacri in pieno isterismo. Questa non é più fede

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  2. Io sono credente, lo avevo scritto a proposito del tuo articolo su Gerusalemme. Concordo con te su tutto quello che dici del muro, inaccettabile anche solo l’idea che i palestinesi debbano lasciare la loro auto a Betlemme e prenderne un’altra a Gerusalemme ma non è la sede per parlare di politica. Quanto ai luoghi sacri, io ci sono andata per avere una testimonianza del mio credo e sono stata infastidita quanto te dalla mercificazione che se ne sta facendo. Sono convinta che nessuno si convertirà facendo un “pellegrinaggio” tipo sardine in Terra Santa. Pregare nella Grotta della natività a nel Santo Sepolcro è istintivo e doveroso per ogni Cristiano, gli spintoni e il fanatismo no.

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    1. Mi fa piacere leggere le opinioni di una persona credente. Perché va bene più o meno tutto, però certe scene non si possono vedere. Soprattutto considerando che in mezzo a tutta quella folla non mancano persone con difficoltà motorie o con delle invalidità, e mi chiedo come si faccia in particolare in quei casi a spintonare una vecchietta con le stampelle continuando a sentirsi un buon cristiano.

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  3. “Pochi chilometri separano Gerusalemme da Betlemme, ma tra le due città c’è un abisso.” Questa tua frase mi ha colpita, perchè era lo stesso pensiero che avevo avuto anche io. Mi avevano veramente fatto impressione i check point, ed il fatto che per gli abitanti sia una cosa normale – quotidiana – dover attendere anche per ore, solo per recarsi a scuola e al lavoro. Un’altra cosa che mi aveva lasciata a bocca aperta era la quantità di ragazzi, apparentemente normali, miei coetanei o poco più, con sulla spalla un fucile, come se fosse normale indossarne uno, come una borsetta, nella sala colazione di un albergo…..

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    1. Stesso pensiero che ho avuto anche io: in alcuni casi erano proprio ragazzini che saranno stati appena maggiorenni. Fucile in spalla proprio come se fosse normale, come una borsetta. E con la stessa normalità la gente ogni giorno passa attraverso i check point, sotto il sole o sotto la pioggia. Sono cose che ti fanno stringere il cuore.

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  4. Molto intenso questo reportage di viaggio Silvia. Se fossi stata lì avrei condiviso in pieno il tuo pensiero e le tue impressioni. Mi fa specie vedere nella penultima foto quelle persone in fondo con le braccia alzate intente a scattare con lo smartphone. Credenti o no, certi luoghi vanno visitati con un approccio assolutamente non turistico e la folla, i gruppi organizzati e il discorso muro/highlights la dice lunga su quanto sempre meno venga insegnato il rispetto (a partire dalle famiglia). Poi le pellegrine fanatiche e arroganti mi sa che alla fine sono proprio le più innocue. La tua descrizione delle condizioni della città mette i brividi…e le file ai check point sono un’enorme sconfitta per la civiltà. Hai fatto benissimo ad accettare la proposta del tassista, ci voglio credere anche io che fosse a fin di bene e poi una ciotola di ulivo è anche un bel ricordo anche nel significato 😉

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    1. Lo smartphone a tutti i costi e il selfie in ogni dove hanno raggiunto dei limiti davvero ridicoli. Io che non sono credente mi sono fermata il minimo indispensabile nella grotta della natività perché anche se per me quel posto non ha un significato religioso, capisco che lo abbia invece per la maggior parte della gente. Quindi il rispetto per questa gente mi suggerisce di essere educata. Sicuramente è come dici tu: il rispetto non viene insegnato, proprio a partire dalla famiglia.
      Le code ai check point e i muri mi fanno pensare che siamo caduti davvero in basso.
      La ciotola è davvero molto bella 😊

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  5. Sulla maleducazione dei turisti mi trovi perfettamente d’accordo! Sono rimasta senza parole a vedere le persone che si fotografavano facendo il segno della vittoria davanti alla casa di Anna Frank, e ho trovato ancora più di cattivo gusto la gente che si faceva i selfie a Hiroshima davanti a uno dei pochissimi edifici rimasti in piedi dopo l’esplosione della bomba atomica, quanta maleducazione si vede in giro!

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  6. Come hai giustamente sottolineato, ci sono realtà che vanno viste in prima persona per comprenderne a fondo aspetti che, altrimenti, non riusciremmo a elaborare in maniera corretta. Rispetto al fanatismo e al poco rispetto dei turisti, purtroppo, mi trovi pienamente d’accordo: dai selfies seduti sul monumento per le vittime dell’olocausto ai fedeli intransigenti in basiliche più o meno note, il panorama è decisamente desolante 😦

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  7. Uno squarcio sul tuo viaggio che mi ha lasciato la pelle d’oca. Assurdo come ci sia un mondo completamente diverso dal nostro dove fare le code per i check point per arrivare a scuola o lavoro sia normale. Un mondo dove il turismo sta cambiando il modo di vedere persino un muro che non è un luogo dove scattarsi un selfie, ma qualcosa che deve far riflettere su uno spaccato di storia che ha avuto conseguenze reali.
    Mi distacco dal commentare il fanatismo in chiesa.Non sono credente e non le concepisco le persone che spintonano o fanno di tutto per mettersi in bella mostra nel pregare quando fuori da quelle mura dimenticano persino di essere cristiani.

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  8. Turisti maleducati se ne trovano in ogni dove oramai e mi fanno venire sempre un gran nervoso! Inoltre che peccato che persone così rovinino un luogo “sacro” per chi crede e comunque “interessante” per chi invece non è credente.

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  9. Interessantissimo articolo Silvia, devo recuperare quello su Gerusalemme, lo faccio appena finisco di commentare questo 😉
    Interessante contrasto tra le città e quadro di Betlemme molto crudo. Non sono mai stata lì ma come dici all’inizio fa parte di quei luoghi che sono sempre sulla lista. Impressionante la maleducazione dei turisti, ormai la si vede aumentare ovunque come se fosse una malattia infettiva. Quando c’è di mezzo la religione poi arrivano gli ultras, un po’ come quelli politici o calcistici. Non ci si può ragionare, capiscono solo una lingua, la loro, ed è loro esclusiva. Scene del genere sono capaci di rovinarmi il viaggio 😅

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    1. Hai detto bene: i “religiosi” in fila per entrare alla grotta della natività sembravano gli ultras in attesa dell’apertura dei cancelli dello stadio. Senza un minimo rispetto nemmeno per i bambini in cosa o per le persone con difficoltà deambulatorie – davvero una vergogna.
      Due città assolutamente da vedere, nonostante i contrasti e le difficoltà.

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  10. Leggendo questo tuo post devo ammettere che ho sentito un gran senso di claustrofobia.
    È quasi difficile immaginare che l’Uomo posso costruire 570 chilometri di ODIO. Veramente io non ci arrivo….
    Credo comunque, come dici tu, che sia un viaggio da intraprendere almeno una volta nella vita.

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  11. Avrei davvero tanta voglia di andare a visitare la Terra Santa, ma confesso che non mi ero mai posta il pensiero di andare a Betlemme. Ho sempre pensato solo a Gerusalemme. Mi hai offerto una suggestione interessante. Adesso cercherò più notizie per scoprire di più. Grazie

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  12. Articolo interessantissimo, con diversi spunti di riflessione: dall’idolatrismo religioso al turismo “senza coscienza”, come lo chiamo io.
    Grazie mille per aver condiviso la tua esperienza, non sapevo nulla della Betlemme di oggi.

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  13. Quando sono stata in Israele nei miei programmi c’era anche Betlemme e qualche altra realtà dei Territori Palestinesi… Purtroppo alla fine però ho dovuto rinunciare, perché in quel momento la situazione era un po’ calda… Devo assolutamente tornare da quelle parti però! Ne sento proprio l’esigenza, per riuscire a comprendere (almeno un po’) quello che sta accadendo!

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  14. Quando leggo articoli come il tuo ringrazio chi ha inventato i blog. La tua bellissima testimonianza per me è la dimostrazione del potere del viaggio e delle parole. Per alcuni viaggiare significa scattare fotografie o vedere le cose senza necessariamente capirle, per tanti invece, per fortuna, significa davvero aprirsi al diverso e lasciare che ci travolga in qualche modo, nel bene e nel male.
    Questo è un viaggio che voglio fare assolutamente e che non voglio fare a cuor leggero, c’è troppo in discussione.
    Tra l’altro sto leggendo proprio in questo momento “Ogni mattina a Jenin”, un bellissimo romanzo ambientato durante gli anni del conflitto che ti consiglio se non l’hai già letto!

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  15. Ero andata a Betlemme da sola in bicicletta perché l’amico con il quale viaggiavo non poteva passare il confine per via della nazionalità israeliana. “Vietato l’accesso agli israeliani” era scritto in tutte le lingue e l’ho trovato davvero assurdo (il mio amico è un pacifista convinto super fricchettone e nemmeno lui poteva entrare). Calorosi e sinceri i palestinesi fuori dal centro, lungo la strada per arrivare a Betlemme, tutti che mi salutavano ridendo a vedere una turista da sola in bicicletta. A me comunque non sono piaciute particolarmente né Gerusalemme né Betlemme (a parte per i falafel ottimi!) proprio per il fanatismo religioso che ho respirato. Terribile tutto quell’oro nella Chiesa della Natività. Belli i murales ovunque, curioso vedere mischiarsi nel colore pure quelli che inneggiano ai terroristi come Leila Khaled. Vorrei comunque tornarci, magari soggiornando nell’hotel di Banksy per provare a capire qualcosa di più della cultura locale.

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    1. Ricordo che avevi forse scritto qualcosa di quest’avventura in bicicletta! Devo dire che anche con noi sono stati tutti gentilissimi i palestinesi. Per esempio a Betlemme non trovavamo più il nostro tassista e un tizio di un negozio si è dato da fare per rintracciarlo perché sapeva chi era. Insomma non era obbligato ma è stato carino.
      Gerusalemme a me è piaciuta, a parte le scene di fanatismo. Betlemme non molto perché in fondo è praticamente tutto intorno alla basilica, dove il fatto di vedere gente che si butta per terra, piange a abbraccia le colonne è un po’ troppo per me…

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  16. Anche a me Betlemme ha colpito molto. Ho avuto modo di parlare con delle persone natee cresciute lì e i loro discorsi me li porterò dietro per sempre. Il muro è uno di quei luoghi che non vuoi vedere, ma che va fatto.
    Anch’io ho comprato degli orecchini di ulivo fatti a mano da dei ragazzi del posto 🙂

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