La mia #Bibliotecagolosa: Nose To Tail Eating

L’ho già detto che adoro mangiare? Che mi piace assaggiare piatti di qualunque tipo? Tranne quelli a base di insetti. E possibilmente nemmeno quelli che preparo io. Perché forse ho già anche detto che nonostante ami mangiare, sono completamente negata dall’altra parte del piatto… Ci provo ogni tanto a cucinare, ma con scarsi risultati. Insomma, preferisco affidarmi a chi ci sa fare e dare il mio meglio davanti al piatto, forchetta in una mano e coltello nell’altra.

Tuttavia ho un debole per i libri di ricette. Mi piace guardare le foto degli ingredienti, della preparazione, del piatto finito e delle curiosità sulle ricette. Alcuni li leggo come se fossero dei romanzi, immaginando di fare un viaggio con ogni piatto.

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Così i libri sulla New Nordic Cuisine mi portano in Scandinavia, tra fette di pane di segale e aringhe affumicate, mentre quelli di Yotam Ottolenghi mi fanno volare in Medio Oriente, con profumi di zenzero, coriandolo e fiori d’arancia.

Un libro di ricette non è una semplice raccolta di preparazioni, ma racconta una storia. Una di quelle che da sempre mi appassiona di più è quella di Nose to Tail Eating, al punto che quando ho letto sul blog Betulla del contest #bibliotecagolosa mi sono subito venute in mente le pagine di questo volume e il mio incontro con Fergus Henderson – non di persona ma sulla carta… e nel piatto.

Nose to Tail Eating è uno di quei libri che Beatrice, l’ideatrice del contest, chiamerebbe “rubacuori”: è un aggettivo che descrive benissimo non solo ciò che è racchiuso tra una copertina e l’altra, ma anche quello che ha fatto sì che questo titolo finisse dallo scaffale di una libreria alla mia cucina, dove vive da anni. È la storia di come mi sia innamorata di un ristorante e della filosofia che ne sta alla base, e del libro che ne raccoglie alcune delle ricette più rappresentative.

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Ma andiamo con ordine. La storia inizia a Londra, anni fa, in occasione di un viaggio di lavoro. Ho un appuntamento a cena con una collega inglese, conosciuta per le sue crisi isteriche e per la poca affidabilità. Nel pomeriggio mi chiama per dirmi che le dispiace, ma non ce la farà a cenare con me. Dopo un secondo di nervosismo, le chiedo dove avesse prenotato.
“St. John Bread & Wine,” mi risponde. Immagino i miei occhi a forma di cuore di vitello e ho l’acquolina in bocca. Ho sempre voluto provare la cucina di Fergus Henderson, ma non ne ho mai avuto occasione. Decido di andare da sola, e un’ora dopo sono sul treno della Hammersmith & City diretta a Liverpool Street. Dalla stazione cammino lungo strade dove un sole tiepido ha attirato gli impiegati della City: sorseggiano birre con le cravatte allentate e chiacchierano lungo i marciapiedi dell’East End. Da quartiere malfamato, Whitechapel ha visto nel corso degli anni la nascita di tanti locali, tra cui St. John Bread & Wine.

Qui il pasto è un viaggio nella storia e nella gastronomia delle regioni inglesi: rognoni, arrosto di maiale Tamworth, formaggio Lanark Blue. Il menu viene costruito intorno alla filosofia dello chef Fergus Henderson, quella del nose to tail eating o, in altre parole, del non si spreca niente. Non è altro che il modus operandi di qualsiasi nonna in cucina: quello del non buttar via nulla, dell’utilizzare ogni parte di un animale perché sarebbe uno spreco avanzare qualcosa. Ma non solo: è anche rispetto, secondo lo chef, nei confronti del maiale o del vitello che è stato privato della vita per nutrirci: scartare anche solo un orecchio sarebbe irrispettoso, quasi blasfemo.

Dopo aver cenato, rimango a lungo nel ristorante, assaporando il pasto e osservando i cuochi nella cucina a vista. Ragazzi e ragazze giovanissimi, che scegliendo di lavorare in questo locale insieme a Fergus hanno contribuito a far cambiare idea a parecchie persone erroneamente convinte che in Inghilterra si mangi male.
Il giorno successivo, dopo gli impegni di lavoro, prendo il treno fino a Ladbroke Grove e poi di corsa fino alla libreria Books for Cooks per comprare una copia del libro. Arrivo poco prima dell’orario di chiusura, accaldata e senza fiato, ma ho raggiunto lo scopo della giornata: Nose to Tail Eating è mio.

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Dal momento della sua pubblicazione nel 1999, divenne un oggetto di culto per tanti chef, che si chiedevano quale fosse il segreto del successo del suo autore. In realtà è svelato già in copertina: un disegno di un maiale di cui utilizzare ogni parte, dal naso alla coda. Le ricette contenute tra le pagine sono una celebrazione della cucina inglese: zuppa di zucca con bacon e orecchie di maiale, insalata di midollo arrosto con prezzemolo, kedgeree di eglefino, treacle tart. Si tratta di piatti poveri, della tradizione regionale inglese. Ricette che, come ricorda Fergus Henderson nella prefazione, fanno parte di un libro sulla cucina e sulla condivisione del cibo a casa con parenti e amici, non di un volume da usare per replicare piatti da ristorante.

“Do not be afraid of cooking, as your ingredients will know, and misbehave. Enjoy your cooking and the food will behave; moreover, it will pass your pleasure on to those who eat it.” Fergus Henderson

Un approccio alla portata di tutti, un invito a chiunque a utilizzare ingredienti buoni per creare piatti buoni, da condividere.


QUESTO POST ADERISCE AL CONTEST #BIBLIOTECAGOLOSA IDEATO DA BEATRICE DEL BLOG BETULLA. SCOPRITE COME PARTECIPARE SEGUENDO LE ISTRUZIONI DI BEATRICE!

20 pensieri riguardo “La mia #Bibliotecagolosa: Nose To Tail Eating

  1. Mi sembra una filosofia più che giusta, in termini di risparmio ma anche di rispetto dell’animale. Mi incuriosisce tanto il modo di cucinare di questi grandi chef, io che adoro cucinare, leggo libri e libri di cucina, ma poi ho sempre poco tempo per sperimentare. Mi segno il nome del locale di Fergus (quasi come fosse un amico…) Tanto prima o poi a Londra ci devo tornare 😉
    Buona Pasqua cara se non ci sentiamo prima, ciao!

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      1. Ho visto tempo fa un documentario su Netflix che parlava dei danni per la salute e l’ambiente di una dieta a base di grassi animali. Ne sono uscita talmente sconvolta che per ben 6 mesi sono riuscita a non toccare carne (il resto, ipocritamente, lo mangiavo comunque). Ma è durata poco. Sono una brutta persona se dico che il sapore della carne mi piace tantissimo? Dopo un po’ mi mancava, quasi una crisi di astinenza. Quindi ti capisco benissimo Silvia 😊 Un bacione, buon weekend!

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  2. Ma si, mi sento particolarmente temeraria stasera!
    Assaggerei anche la zuppa di orecchie o di grugno se ne avessi un piatto davanti. Si capisce che sono a dieta? 😉 No a parte scherzi, sarà sicuramente la “fattura” professionale dello chef e l’etica che sta dietro a tutto ciò ma io provo una sana curiosità nei confronti di questi “ingredienti”. E poi sono convinta anch’io che in questo modo si onori la bestia.
    Ti seguo a ruota tra quelli che preferiscono stare dall’altra parte del piatto, non disdegno il cucinare ma pappare mi viene meglio! 😛
    Ci risentiamo per gli auguri di Pasqua, ciao Silvia! 😉

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    1. Io ho appena scoperto che sto bevendo troppo vino quindi dovrei dare un taglio pure a quello oltre che al cibo 😂
      Anche io comunque sono curiosa verso questi ingredienti, oltre all’aspetto etico, perché più o meno mi piace assaggiare, insetti sempre a parte nel mio caso…
      E vai che tra un paio di giorni si ricomincia con le abbuffate 😉

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  3. Cara Silvia, hai scritto un post delizioso. Naturalmente la tua bibliotecagolosa ti somiglia, perchè tra i libri di cucina ci sono viaggi, avventure, assaggi e ricordi che è un piacere scoprire leggendoti. Grazie di cuore per aver colto tanto bene lo spirito del gioco…come sempre leggerti mi porta in mondi lontani…e il tuo rubacuori è davvero originale, audace e golososssimo! Brava!

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  4. Non compro molti libri di cucina perché so bene che non li userò quasi mai, ma mi piace la tua riflessione sulla storia che a volte c’è dietro. Tra l’altro sarebbe bello imparare a cucinare tutto di ogni animale che finisce sulle nostre tavole.

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  5. Io non sono un’appassionata di cucina, in casa l’addetto ai fornelli è mio marito…Diciamo che sono piuttosto l’assaggiatrice ufficiale 😉 In casa mia quindi non ho libri di cucina, però ho trovato molto interessanti le tue riflessioni e condivisibile il fatto di non sprecare nulla (anche se ammetto che la foto delle orecchie mi ha impressionata un po’, non essendo un’amante della carne 🙂 ). Un abbraccio e auguri di Buona Pasqua!

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  6. Si vede che è una grande passione, sai? Tu sai scrivere di cibo e locali, in un modo che arriva dritto al lettore. Che incuriosisce, fa venir fame e fa percepire le sensazioni che si provano nei ristoranti da te visitati.
    Nessuno potrebbe rimproverarti il fatto di non saper cucinare… Silvia, qualcosa di difettoso dovevamo per forza averlo anche noi 😏 (mi allineo al tuo impedimento).
    Eppure questo non significa che non sappiamo apprezzare un buon piatto, di quelli cucinati con amore e che sanno raccontare una storia!
    Ps: eri a Londra col Boss?
    Un abbraccio,
    Claudia B.

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    1. Ah ah Claudia, sono felice che tu mi capisca 😂 Non è mica detto che se a una persona piace mangiare sia anche in grado di cucinare, d’altra parte le fesssccion bloggers non si sanno cucire i vestiti che indossano!
      Non ero a Londra con il boss quella volta ma poi in un’altra occasione l’ho portato da St John: si capiva benissimo che gli era piaciuto – ha spazzolato tutto quello che aveva nel piatto – ma non lo ha ammesso…
      Grazie, un abbraccio anche a te 😘

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  7. Ciao Silvia, sono approdata qui tramite Betulla e il suo bel contest. Ho trovato molto interessante il tuo articolo e la scoperta di Henderson, che non conoscevo…io sono un po’ all’opposto rispetto a te: amo moltissimo cucinare ma sono un’ignorantona in materia, soprattutto se si parla di paesi stranieri! 🙂
    Sarà un piacere seguirti, a presto 🙂
    Alice

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  8. Io, cara Silvia, amo molto cucinare, oltre che mangiare, naturalmente!!! 😋
    Però mi sono accorta che il mio approccio verso la letteratura gastronomica è molto sbrigativo, o per lo meno finalizzato all’ispirazione per riprodurre ricette.
    Invece, molto probabilmente, sarebbe fantastico immergersi nella filosofia di un piatto, nel perché di una determinata ricetta, piuttosto che nell’elenco di ingredienti.
    Da provare, insomma!

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