Dave e Sarah: dall’America all’Italia e ritorno

Il mese scorso ho ricevuto una lettera con la posta aerea. Una busta color avorio dagli angoli un po’ ammaccati per via del viaggio dal Vermont alla provincia di Cuneo.
All’interno, un invito a partecipare a un matrimonio a Boston, e una lettera in cui Dave e Sarah mi chiedevano di trascorrere qualche giorno a Middlebury, la città in cui vivono. Ormai avevo già prenotato da tempo il viaggio a Mosca, previsto proprio per il weekend del matrimonio, e mi è dispiaciuto non poter essere presente. Perché ho visto Boston di sfuggita, ma soprattutto perché conosco Dave e Sarah da anni.

Incontro Dave la prima volta Italia, in occasione di una conferenza sul tema dell’agricoltura urbana. Per rappresentare gli Stati Uniti era stato invitato un docente californiano che purtroppo aveva altri impegni. Al suo posto arriva Dave: un ragazzone talmente alto da sembrare goffo, che fa però incanta subito il pubblico con le sue parole.
Durante la cena ho la fortuna di essere al suo stesso tavolo, insieme alla sua fidanzata Sarah. In pochi minuti mi raccontano la loro storia: lei è di Boston, lui di San Francisco. Si conoscono in Connecticut, all’Università di Yale, dove lei è iscritta ad Arte e lui a Studi Ambientali. Mi raccontano dei loro viaggi e dell’anno sabbatico trascorso in Italia, subito dopo l’università. Dave aveva deciso di passare del tempo in Sicilia in un villaggio di pescatori, e Sarah lo aveva seguito.

Qui avevano imparato un po’ di italiano, con l’accento siciliano che si sente ancora quando provano a parlare la nostra lingua. Una volta, in una caffetteria in Piemonte, Dave si è offerto di pagare il conto. Porgendo la banconota da dieci euro alla cassiera sabauda ha detto: “Prendi i piccioli.” La ragazza ha guardato prima lui e poi me, come a chiedermi di tradurre quella lingua che lei non capiva.
La Sicilia è rimasta nel cuore dei miei due amici, così come Roma, dove hanno trascorso quattro mesi. Ora sorridono quando ne parlano, ma immagino che all’epoca ci sia stato ben poco da ridere.

Una coppia di giovani americani che della capitale italiana aveva la visione romantica di Vacanze Romane. Probabilmente immaginavano di esplorare Roma a bordo di una Vespa e di bere un aperitivo su un terrazzo di Trastevere. La realtà è che hanno trascorso le prime due notti in un ostello dove a Sarah hanno rubato un paio di sandali. Da qui, si sono trasferiti in una casa per ferie: un istituto religioso che accoglieva studenti da tutto il mondo. Hanno resistito un paio di settimane, poi si sono trasferiti da un ragazzo americano in zona Portuense: feste ogni sera, un viavai infinito di sconosciuti a ogni ora del giorno e della notte, e bottiglie di birra abbandonate in tutti gli angoli. Al posto loro, avrei preso il primo aereo per tornare a casa: non penso che sarei riuscita a tollerare l’idea di non avere un posto sicuro e pulito dove stare. Anche perché fino a qualche anno fa non c’erano gli strumenti che abbiamo a disposizione oggi per affittare una casa in una città che non si conosce. Alla fine ce l’hanno fatta, dopo un mese di ricerche e di incontri con proprietari con i quali non riuscivano nemmeno a comunicare. Non avrei voluto essere al loro posto: due studenti stranieri a Roma, che cercano una stanza da affittare senza parlare bene la lingua. Oggi sarebbe stato tutto molto più semplice per Dave e Sarah, grazie ai siti che permettono di trovare appartamenti a Roma per studenti, come Uniplaces. Con un click avrebbero potuto scegliere l’appartamento nella zona desiderata, nella fascia di prezzo più adatta, guardando le immagini online e con la certezza di avere un servizio di assistenza sempre a disposizione.

photo of building exterior during daytime
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Chissà se torneranno mai a Roma nonostante l’esperienza negativa. Ma almeno avranno avuto un aneddoto da raccontare al loro matrimonio. Sicuramente tutti avranno ammirato la loro forza e loro capacità di adattamento.
Ora saranno tornati dal viaggio di nozze, e saranno rientrati in Vermont, dove si sono trasferiti per via del lavoro di Dave alla Middlebury University. Peccato non aver potuto accettare il loro invito, anche perché non conosco affatto il Vermont. L’unica volta che sono stata a casa loro, Dave e Sarah vivevano a New Haven, in Connecticut, dove Dave lavorana al Sustainable Food Program dell’Università di Yale come responsabile del vegetable garden della facoltà e del farmers market, e Sarah in una galleria d’arte.
Ricordo quella giornata come una delle più surreali che mi siano mai capitate. Io e il mio collega P. siamo a New York per lavoro e New Haven non dista più di un paio di ore in treno. Dave ci viene a prendere alla stazione in una calda mattina di settembre con la sua Volkswagen Jetta verde muschio: in macchina c’è di tutto: paglia, pezzi di legno, sacchi di juta. Sono gli attrezzi di lavoro della fattoria universitaria. Ci accompagna nell’orto didattico, dove incontriamo i ragazzi della facoltà di Studi Ambientali e assaggiamo la verdura coltivata nel campus.

Dall’università ci spostiamo a casa di Dave e Sarah per il pranzo. Vivono in un palazzo di mattoni rossi che sembra uscito da un film. C’è un giardino comune sul retro, dove Dave vorrebbe creare un orto condominiale. Ma, prima di finire il pranzo, succede la sciagura: il gatto si sente male. Ha le convulsioni e respira malissimo. In preda al panico, Dave e Sarah ci abbracciano e scappano alla clinica veterinaria con la bestiola esanime in una scatola di cartone. Io e P. ci impieghiamo qualche minuto per riprenderci dallo shock, poi decidiamo di finire di mangiare perché sarebbe un peccato sprecare tutto quel cibo. Sparecchiamo e laviamo i piatti, sperando di veder arrivare presto i padroni di casa. Quando Dave ci chiama non ha buone notizie: il gatto è in terapia intensiva perché forse è stato avvelenato. Non ci resta che andarcene, sperando di riuscire a prendere l’ultimo treno per Manhattan. Peccato però che una volta scesi in strada non abbiamo la più pallida idea di dove sia la stazione. Senza né Uber né Google Maps siamo persi. Chiediamo aiuto a un ragazzo che si offre di chiamarci un taxi per la stazione, a ben cinque miglia di distanza.

Il gatto di Dave e Sarah era stato avvelenato ma si è salvato. Da allora però, se qualcuno chiede come ci siamo conosciuti, uno dei due spiega che Silvia tried to kill our cat. Quando ci sentiamo mi salutano chiamandomi cat killer. E ridiamo ogni volta, pensando a quella giornata di tanti anni fa.

Cover photo © Wikipedia

15 pensieri riguardo “Dave e Sarah: dall’America all’Italia e ritorno

  1. Oddio che angoscia la storia del gatto! Per fortuna che si è salvato…nonostante il tuo soprannome! Però potresti usarlo come nome d’arte per scrivere “quel” famoso libro 😀 😀
    E’ vero, siamo talmente assuefatti dalla tecnologia e dalle comodità immediate che ci offre il web che neanche ricordiamo più come si viaggiava prima! Eppure si viaggiava…i piccioli erano sempre quelli!
    Ma come minimo Dave e Sarah dovevano venire in Italia in viaggio di Nozze! 😀

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  2. Silvia non dovrei ridere per il finale della storia (giuro che amo gli animali), ma cerca di capirmi, non puoi buttarmi lì così, la tua vera identità! Sei unica, ahahahah!
    Posso dirti che ho divorato questo splendido post? Io continuo a ribadire che tu dovresti scrivere un libro, perché terresti incollati i lettori grazie al tuo stile, ma alla fine io sono comunque contenta anche di leggere il tuo blog 😉
    Una storia meravigliosa, un viaggio attraverso due mondi che mi ha emozionata (un pò come è successo al gatto 😉 ).
    Devo dire che oggi, ammettiamolo, è davvero tutto più fluido. Trovare un appartamento come studenti, come lavoratori, oppure un affitto vacanza…il mondo in questo si è molto semplificato. Ma io apprezzo tanto anche la capacità di adattarsi e riadattarsi, di chi non aveva la nostra fortuna. Io, come hai detto tu, avrei difficoltà…
    Un abbraccio,
    Claudia B.

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    1. Anche io amo gli animali ma ti capisco benissimo: quando io e il mio collega ci siamo ritrovati da soli a casa di Dave e Sarah ci abbiamo messo un po’ a riprenderci, e poi non ti nego che siamo scoppiati a ridere 😉 La situazione era davvero assurda!
      Eh il libro sulle mie avventure dei viaggi di lavoro sarebbe un sogno 🙂
      Buon weekend!

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  3. Don’t say cat if you don’t have it in the sack! Scusa ma mi è venuta in mente questa citazione “coltissima” di Trapattoni 😀 scherzi a parte, che bella storia d’amore e di tanta pazienza e resilienza. Fortunatamente tutto è andato per il meglio, sia per il gatto sia per tutto il resto.
    Buona giornata!

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  4. Ma piccolo il gattino 😦 che brutto vedere che gli s*****i che si divertono ad avvelenare gli animali esistono ovunque, meno male che si è salvato…
    Peccato che non sei riuscita ad andare, chissà se è stato uno di quei matrimoni stile film… le cerimonie americane me le immagino sempre così! E lo spirito di adattamento dei tuoi amici a Roma è stato veramente apprezzabile, io sarei scappata a gambe levate probabilmente.
    Baci Silvia!!

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  5. Io spero che tornino a Roma e che riescano a ridere di quelle disavventure! Il Vermont è uno di quei luoghi che, nella mia mente, hanno assunto connotati mitici. Lo immagino come in quei libri illustrati che leggevamo da bambine, con le casette graziose, le fattorie, gli aceri rossi e le torte di mele. E i gatti (vivi) che sonnecchiano sui gradini di casa 🙂

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    1. Mi auguro anche io che decidano di tornare a Roma: sarebbe anche per me un’occasione per rivedere una città che purtroppo conosco poco.
      Io quando penso al Vermont penso ad Anna dai Capelli Rossi – anche se forse era ambientato in Canada – con casette, aceri, prati verdi, proprio come dici tu 🙂

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  6. Silvia, è una storia bellissima.
    Buffa, surreale, unica… adoro gli incontri. Quante persone interessanti ci sono là fuori, vicino e lontane da noi. Quante menti affini…

    Mi spiace tu non sia potuta andare al loro matrimonio. Il Vermont è meraviglioso. Porto il ricordo di quel luogo nel cuore e ha una posizione privilegiata rispetto forse a tutti gli altri luoghi che ho visitato. Non c’è nulla di per sè che giustifichi questo mio amore, è solo l’atmosfera, la sensazione, l’accoglienza che lì abbiamo ricevuto che si sposano perfettamente con quella terra così verde e dove alcune specialità golose sono nate.

    Il solito abbraccio,
    Elena

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