In viaggio col capo: Amsterdam, il corso di cucina e l’hotel boutique

Nelle ultime settimane ho pensato molto ad Amsterdam, soprattutto da quando l’ho inserita nei miei TravelDreams2017. Se tutto va come previsto, la prossima primavera tornerò in Olanda per dare una seconda chance alla città dei canali. Ad Amsterdam ci sono stata in occasione di un viaggio che purtroppo mi ha fatto quasi odiare questa città. Lei non ne aveva colpa, dopo tutto; la ragione per cui Amsterdam fa tornare a galla brutti ricordi va imputata al mio capo e alla sua ira.

La giornata inizia all’alba con il volo Torino-Schiphol. Io e la mia collega L. siamo su di giri perché il capo non viaggia con noi: è a Roma e ci raggiungerà direttamente ad Amsterdam per la cena. I nostri ospiti ci hanno assicurato che sarà una sorpresa, rifiutandosi di svelarci i dettagli. La cosa dovrebbe preoccuparci un po’, dato che il capo è imprevedibile. Ma il pensiero di come trascorreremo la giornata senza di lui ci fa dimenticare tutto il resto.
Arriviamo in aeroporto dove troviamo Hans ad aspettarci: ci accompagna in un paesino di cui non ricordo il nome, e che mi fa venire in mente una fiaba.

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Ci aspetta una carrozza per portarci a passeggio tra le campagne olandesi, lungo stradine lastricate, accanto vecchi edifici che hanno conservato intatto il fascino dei secoli passati. Arrivate a destinazione, facciamo l’intervista e riusciamo addirittura a fare qualche fotografia. Presa dall’entusiasmo, mi rivolgo a L.: “Il capo sarà contentissimo.” Lei annuisce, scattando foto qua e là. “Questa volta andrà tutto alla grande”, risponde. Insieme a L. ho accompagnato il boss in parecchi viaggi di lavoro e, inutile dirlo, ogni volta qualcosa è andato storto. Ma entrambe sappiamo che questa volta non sarà così.

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Le nostre certezze iniziano a vacillare un paio di ore dopo, quando Hans ci riporta verso Amsterdam. Siamo alla periferia della città, in una zona con molto verde. Per la seconda volta ho l’impressione di trovarmi in una fiaba, anche se inizio a temere l’arrivo dell’orco. Entriamo in un edificio che ricorda un oratorio, ma in realtà si tratta di una scuola di cucina. La sorpresa è svelata: saremo ospiti di alcuni chef che insegneranno a noi e agli altri “studenti” a preparare una cena a base di pollo. Saremo divisi in gruppi, ognuno con un compito diverso, poi mangeremo quello che abbiamo cucinato. La maggior parte degli aspiranti cuochi ha già indossato il grembiule. Io inizio a sudare freddo: perché sono una frana in cucina, ma soprattutto perché il capo odierà questa sorpresa.

Minolta DSC

Io e L. proviamo a tenere a bada l’ansia con un paio di bicchieri di bollicine, con scarsi risultati. Quando il boss entra nel salone a testa bassa, porta con sé una ventata di malumore. Saluta i presenti con un sorriso tirato; qualche stretta di mano, un paio di pacche sulle spalle. In due falcate è accanto a noi.
“Cos’è questo posto?” domanda osservando il grembiule di cotone grezzo come se fosse un animale morto e in avanzato stato di decomposizione. Proviamo a spiegargli che è una sorpresa da parte dei nostri ospiti, ma le nostre parole non fanno altro che peggiorare la situazione. Vuole andarsene, ci chiede di chiamargli un taxi per l’albergo; noi lo supplichiamo di rimanere, sperando che nessuno intuisca che il capo vorrebbe essere lontano anni luce. Non capiscono cosa stiamo dicendo, ma il suo tono di voce è inequivocabile: un paio di aspiranti cuochi ci guarda con aria interrogativa, mentre io e L. lo imploriamo di indossare il grembiule di provare a preparare un piatto, come stanno facendo tutti.

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Alla fine accetta, ma sono certa che ne pagheremo le conseguenze, prima o poi. Per fortuna ci viene affidata solo l’insalata di pollo e i nostri compagni di brigata si danno molto più da fare di noi. Come se non bastasse, lo chef spiega i passi da seguire in inglese, e io devo tradurre tutto per il boss. Intanto l’alcol continua a darmi la forza necessaria per andare avanti, non solo durante la lezione, ma anche durante la cena. Io e L. ci diamo il cambio a tradurre le domande dei giornalisti e le risposte del capo per le due ore successive. Risultato: quando saliamo sul taxi per andare in albergo siamo esauste.
Il boss sembra addormentato e, finalmente, io e la mia collega tiriamo un sospiro di sollievo.
“Avete controllato che nella mia camera ci sia il letto king size?” La sua voce risuona nell’abitacolo. Sembra addirittura di sentire l’eco. Non abbiamo una risposta e, sinceramente, ci siamo completamente dimenticate della sua fissazione per il letto king size. Non siamo nemmeno andate in hotel, ma lui non è uno che accetta delle scuse come risposta. L’ansia ricomincia a salire man mano che ci avviciniamo all’albergo che Hans ha prenotato per noi. Si trova nella zona De Negen Straatjes, le nove strade affacciate sui canali: questa, in teoria, dovrebbe essere una garanzia della qualità dell’hotel descritto come un piccolo gioiello.

Quando scendiamo dal taxi mi tremano le gambe. L. non parla e lascia cadere la valigia più volte mentre saliamo gli scalini. Il boss fa il check-in e si allontana verso l’ascensore, senza salutarci. I battiti del cuore tornano regolari solo quando io e L. prendiamo possesso della nostra stanza: spaziosa, pulita e moderna. La finestra si affaccia sul piccolo giardino interno: anche se è tardi, decidiamo di scendere per prendere un po’ di aria fresca e bere una birra. Il silenzio del giardino è proprio quello che ci serve per rilassarci.
“Ma dove sono finitoooooo????” La sua voce, come un tuono, rompe la quiete notturna. Forse mi sono addormentata e questo è un incubo? No, è tutto vero: il boss sembra ancora più alto, con le mani sui fianchi, tra le due poltrone. O forse è perché noi siamo in una posizione di svantaggio, da tutti i punti di vista.
“In un hotel boutique” risponde L.
“Hotel boutique un c***o! Il letto è talmente piccolo che non ci starebbe nemmeno un nano! La stanza sembra uno sgabuzzino, questa è una topaia!” Vedo delle luci accendersi alle finestre e temo che qualcuno chiami la polizia. L. prova a cercare delle giustificazioni: “Ma la nostra stanza è bellissima.”
Sono certa che le orecchie del boss stiano fumando: magari si incendierà per autocombustione e i nostri problemi saranno risolti. “Per quanto mi riguarda voi due potete dormire nel parco di Amsterdam con gli spacciatori! Dovete trovare una soluzione perché io da questa topaia domani me ne vado.” E si dilegua in una nuvola di zolfo e fumo.

Ci impieghiamo qualche minuto a riprenderci dallo shock, poi corriamo alla reception. Spieghiamo la situazione all’addetto, ma lui ci assicura che la stanza assegnata al boss è la suite: di camere migliori non ce ne sono. Lo supplichiamo di aiutarci a trovare un altro hotel con una camera deluxe libera per le due notti successive. Il ragazzo esita, poi la compassione ha la meglio. Fa un paio di telefonate, senza successo: di giovedì non è semplice trovare una stanza per il weekend. Ci invita a tornare in camera, promettendoci di trovare una soluzione.
Riusciamo a chiudere occhio forse per un paio d’ore, fino a quando veniamo svegliate dal telefono. Né io né L. abbiamo il coraggio di rispondere: e se fosse il capo? Quando alzo la cornetta con cautela, come se fosse rovente, la voce del ragazzo della reception mi fa quasi piangere. Ha trovato una suite al Marriott, poco distante. Una sua conoscente lavora lì, e sarebbe disponibile a farci vedere subito la stanza. Guardiamo l’orologio: sono le cinque e mezza del mattino, ma non abbiamo tempo da perdere perché il boss è mattiniero. Come due spie russe scendiamo guardandoci le spalle e strizzando l’occhio al nostro alleato dietro il bancone. Percorriamo furtive le strade di una Amsterdam che si sta risvegliando, senza prestare attenzione a quello che ci circonda.
Quando arriviamo al Marriott, Eva ci mostra la Junior Suite. Sembra un appartamento, con il salotto con tanto di divani in pelle, la camera con il letto enorme e il bagno di marmo bianco. “La prendiamo!” urla L. rivolta ad Eva, come se fossimo a un’asta e qualcuno potesse portarci via la stanza. Eva annuisce e ci accompagna alla reception, dove una strisciata di Mastercard ci assicura la tranquillità per le notti successive, alla modica cifra di 650 euro.

Torniamo quasi di corsa al boutique hotel, dove troviamo il capo pronto a lasciare l’albergo. Gli comunichiamo la bella notizia: abbiamo trovato una suite, disponibile da subito. Come al solito non ci ringrazia mentre sale sul taxi diretto al Marriott. Interpretiamo il suo grugnito, immaginando che voglia dire vi aspetto tra un’ora. Appena il tempo di una doccia, un caffè al volo e la certezza che questa sarà una giornata molto lunga.

Illustrazione di copertina di Stefano Tenti – In World’ Shoes: tutti i diritti riservati all’autore

64 pensieri riguardo “In viaggio col capo: Amsterdam, il corso di cucina e l’hotel boutique

  1. Oh mamma, questa storia entra di diritto nelle mie “disavventure”. Mi dispiace che non vi siate potute godere la città. Ma che personaggo è il tuo ex capo? Altro che zolfo e fumo 😀 ti consiglio di dare una seconda possibilità ad Amsterdam, secondo me merita 😉
    Buon fine settimana!

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  2. Ma lui è Belfagor! O_o Ad un certo punto ho temuto che vi avrebbe costrette a mangiare la pietanza di pollo da lui preparata come punizione per la “sorpresa”! A cena dovevate stordirlo con più bollicine 😀 😀
    Devi dare assolutamente un’altra possibilità ad Amsterdam! Alla faccia di Belfagor! 😉
    Buon fine settimana, un bacione!

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  3. Non so cosa darei per scoprire chi fosse il tuo capo :O
    Dal racconto sembra tipo una superstar frignona o la boss del Diavolo veste Prada XD
    Non so come facevate a sopportarlo, io l’avrei ucciso nel sonno, altro che cercargli una Suite. Comunque sono sicurissima che la prossima volta andrà molto molto meglio ad Amsterdam 😀

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  4. Come dice Chiara, ho sempre pensato al tuo capo come Miranda del Diavolo Veste Prada! Lavorare con una tale pressione addosso non deve essere stato facile e sicuramente tornare ad Amsterdam ora sarà mooooolto meglio.

    ps. io sarei scappata nella suite del Marriott lasciando il mio capo in balia dei tossicodipendenti di Amsterdam! ahahah
    Un bacione!

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    1. A un certo punto abbiamo anche pensato di andare a fare acquisti più o meno per le vie di Amsterdam, sistemare tutto nella suite del Marriott e poi fare una soffiata alla polizia. Magari uno spavento sarebbe servito a far diventare il nostro “Miranda” un po’ più gentile 😉

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  5. Che mostro di simpatia il capo. Ogni volta che leggo un tuo nuovo racconto #Inviaggiocolcapo riesco a percepire la vostra ansia O.O Se riesci ad andare in primavera sono sicura ti scorderai di questo episodio, ho visto delle foto di Amsterdam in fiore stupende!

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    1. No l’urlo in notturna non è la cosa peggiore: essere costretta a tradurre dal dialetto all’inglese inventando completamente perché lui sta dicendo davanti a una tizia che nemmeno morto è disposto ad andare a cena con lei… quello non ha prezzo!
      Sì, darò ad Amsterdam una seconda chance il prossimo mese 🙂

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  6. Devi assolutamente tornare ad Amsterdam…. e dico… ASSOLUTAMENTE! Una persona così negativa come il tuo capo farebbe andare di traverso qualsiasi cosa! Ma come si permette di essere così arrogante e maleducato nei confronti vostri e dei ragazzi olandesi che vi hanno organizzato la sorpresa? Uno così lo manderei a spaccare pietre sotto il sole…. (senza acqua!)

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    1. Quando ci siamo andati noi era davvero molto carino: ogni stanza era dedicata a un filosofo diverso, e infatti si chiamava De Filosoof. Ho visto che dallo scorso gennaio ha cambiato nome e gestione, ora si chiama Hotel Pillows Anna Van Den Vondel: https://www.pillowshotels.com/en/amsterdam/pillows-hotel-anna-van-den-vondel-amsterdam/
      A vedere dalle foto secondo me era molto più particolare prima della ristrutturazione…

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  7. Hai cambiato capo nel frattempo, vero? Perchè, nel caso contrario, dovresti davvero pensarci…
    Tutto ha un limite, la cafoneria in primis!

    Comunque, io non riesco ad andare ad Amsterdam… delle sventure pazzesche si sono abbattute sulla mia vita ogni volta che ci ho provato… o meglio, alcune sono state sventure, altre cambiamenti di programma all’ultimo minuto che hanno reso necessario rinunciare al viaggio…..

    Ci devo riprovare, ma nessuno mi deve avvertire……. tipo, un viaggio a sorpresa…. magari così ce la faccio!!!

    Quando vai?
    Baci, baci

    Elena

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      1. Meno male che hai cambiato!
        Che personaggio!!! Comunque, di gente strana è pieno il mondo…e gli uffici.

        Uhhh, che bello. Mi dicono che la primavera sia la stagione migliore per vedere l’Olanda. Io in quel periodo sarò a Bordeaux!
        Prima o poi, ce la farò anche io con Amsterdam… magari, se partissi in incognito e preparando le valigie come se dovessi andare in Marocco?!?!? Che dici?!?!?

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  8. Io sarei impazzita, per l’hotel e per il corso… Il tuo capo è davvero bisbetico! Però devo ammettere che mi sono morta dalle risate quando hai descritto il suo ingresso in cucina e la sua reazione di fronte la “sorpresa”… Ahahah! Fai bene a dare una seconda chance ad Amsterdam. Secondo me è una città che merita… Mi piace molto questa rubrica, Silvia, e anche la vignetta che ha disegnato Stefano!

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    1. Quando si comportava così la cosa peggiore era la preoccupazione che le altre persone potessero rimanerci male, e io mi vergognavo tantissimo…
      Grazie per le le belle parole 😊 Stefano è stato bravissimo a catturare l’essenza dei miei viaggi col capo dopo aver visto solo una foto del boss!

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  9. Silvia devi scrivere un libro, e dico sul serio, con le dis-avventure in viaggio col capo! Pensaci, perché io soffro con te e mi spertico dal ridere, ma penso anche che un ebook del genere lo acquisterei subito!
    Sappi che Amsterdam ti riserverà davvero delle bellissime sorprese, anche se magari la mancanza di queste incredibili emozioni, renderà il viaggio più noioso…. no vabbè, ci ho provato ma non ci credo nemmeno io!
    Un bacio cara e a presto!
    Claudia B.

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  10. Ogni volta che leggo del tuo ex capo rabbrividisco un po’ anch’io. Certo che deve proprio vivere nella bambagia per lamentarsi di tutto, pure di una sorpresa e un hotel boutique!!
    Almeno ti sei rifatta visitando Amsterdam la volta dopo.

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  11. […] Amsterdam non è sicuramente tra le mie città preferite, e probabilmente la colpa è in parte del mio ex boss che trasformò una delle trasferte di lavoro in Olanda in un vero e proprio viaggio da incubo. Ma in parte è anche per via di un tristissimo albergo in cui trascorsi una notte anni fa. Forse la scelta della zona, vicino alla stazione centrale, non fu delle migliori, ma la necessità principale era quella di avere un tetto sulla testa per poche ore, prima di svegliarmi all’alba per prendere il treno per l’aeroporto. L’albergo che avevo scelto sembrava soddisfare queste due esigenze fondamentali e, per di più, aveva delle stanze con vista sui canali con tanto di balcone all’ultimo piano. All’epoca fumavo, per cui l’opzione del balcone era un vantaggio non indifferente. […]

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  12. Quando ho voglia di farmi due risate vado a cercare uno dei tuoi articoli sui viaggi col capo e anche questa volta non mi hai deluso. Le tue avventure sono esilaranti e molto comiche se non fosse che è tutto vero e io vi capisco, non sai quanto

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