Auf Wiedersehen, Berlino

L’ultimo giorno a Berlino vorrei fare tantissime cose ma finisco per riuscire a vedere appena la metà di quello che mi ero prefissata. La mattina inizia presto, sotto un cielo cupo che ci accompagna fino al pomeriggio.
Partiamo da Bernauer Strasse, al confine tra i distretti di Wedding e Mitte. C’è un parco con l’erba ancora verde, dove la gente passeggia e si ferma a leggere la storia del Muro sulle targhe del Berlin Mauer Gedenkstätte. A differenza dei giorni precedenti, non troviamo i turisti che in fila fila per scattare una fotografia con i finti soldati al Checkpoint Charlie, né le ragazzine che si fanno i selfie lungo la East Side Gallery. Qui c’è silenzio; la gente osserva la parete bianca di un palazzo che è stata trasformata in una galleria all’aperto, con le immagini della costruzione del muro, del filo spinato e delle persone che tentarono la fuga calandosi con una corda dalle finestre.

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Le conseguenze della costruzione del muro in questo chilometro e mezzo di strada furono particolarmente drammatiche: Bernauer Strasse venne divisa in due, con gli edifici di un lato della strada a Berlino Est e gli altri nel settore ovest. Centinaia di persone persero la vita nel tentativo di fuggire dall’est e per questo vennero murate porte e finestre degli edifici che si affacciavano sulla strada. Forse è proprio qui, più che in altri luoghi, che ci si rende conto come il muro abbia cambiato la vita delle persone e la fisionomia di una città, trasformandola fino al punto da renderla irriconoscibile ai suoi stessi abitanti. Ancora oggi basta guardare a terra mentre si cammina: la cicatrice lasciata dal muro è ancora lì, proprio nel punto in cui si interrompono i ciottoli e inizia l’asfalto, dove finisce un palazzo vecchio e ne inizia uno nuovo.

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Non serve molto per immaginare: basta la parete del palazzo, i pali di ferro che corrono lungo il percorso del muro, la finestra attraverso la lastra di cemento che permette di vedere cosa c’è dall’altra parte, il pensiero che addirittura un cimitero fu diviso e le tombe spostate altrove. La disperazione è ancora lì, percepibile come se tutto fosse successo ieri.
Impossibile non pensare cosa volesse dire passare sotto a una torre di guardia ogni mattina per andare al lavoro o a scuola.

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Continuiamo a camminare lungo Bernauer Strasse; da qui, una passeggiata di poco più di venti minuti ci porta nel cuore di Prenzlauer Berg, un tempo zona proletaria. Edifici austeri circondano Kollwitzplatz, una piccola piazza che profuma di erba bagnata e foglie secche. È piacevole fermarsi a guardare i colori delle piante: dal verde, al giallo, al rosso.

Le stradine lastricate attorno a Kollwitzplatz sono piene di piccoli negozi e cafè. Uno in particolare attira la nostra attenzione: Meierei è un locale con pochi tavoli, dove ci ripariamo per un po’ dal freddo pungente. Ci sediamo a un tavolo alto, insieme a tre sconosciuti, e ci godiamo l’atmosfera di questa ex latteria. Ordino al banco: un caffè americano, un tè chai, un bretzel e a una fetta di sfoglia con mele e uvetta. Passa quasi un’ora, durante la quale osserviamo la gente che passeggia oltre le vetrate. Nessuno ci chiede di andarcene, e noi rimaniamo fino a quando ci rendiamo conto che si è fatto tardi e vogliamo ancora sfruttare quello che rimane del nostro ultimo giorno in città.

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Lungo la strada che porta a Rosa-Luxemburg-Platz ci fermiamo davanti a un’insegna che mi incuriosisce: Jünemanns Pantoffeleck, l’angolo delle pantofole. Il negozio è al piano interrato e dobbiamo scendere quattro scalini ripidi per entrare. C’è l’odore tipico dei calzolai, di lucido per le scarpe e colla. Il negozio è davvero piccolo, con scaffali colmi di pantofole di lana cotta, dal pavimento al soffitto. Dopo qualche minuto d’attesa compare una signora dal retro. Non sorride e non parla inglese, per cui la transazione avviene in maniera sbrigativa: io indico il modello e chiedo il numero, lei mi ordina di togliermi le scarpe e provare le ciabatte, io obbedisco, le porgo i soldi e lei ringrazia. Lasciamo l’angolo della pantofola e ci dirigiamo verso il Volksbühne, il teatro del popolo, altro punto focale della vita culturale ai tempi della DDR.

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Proseguiamo lungo la Alte Schönhauserstrasse, una via che vorrei rivedere nel periodo di Natale. Penso a come starebbero bene le luci bianche appese sopra le insegne dei negozi. Mi faccio tentare dalla vetrina di Paper & Tee, negozio dal design essenziale dove compro del tè. Un’altra tappa da Unico Schmuck per un paio di orecchini di argento a forma di corna di renna, e poi entro da Le Labo, profumeria che avevo conosciuto già a Londra lo scorso agosto. Qui si fanno profumi artigianali ma la particolarità è il negozio, ricavato nei locali dove un tempo vi era la bottega di un macellaio. Non mi stupirei se un omone con il grembiule insanguinato dovesse uscire dal retro, dove ora ci sono comode poltrone di pelle consumata per riposarsi nell’attesa che il profumo sia pronto. Una volta scelta la profumazione, bisogna infatti aspettare che il profumo venga imbottigliato. Il motivo a rombi bianchi e neri delle piastrelle è quasi ipnotico e il profumo di fichi e di tè nero è inebriante. Quando la mia confezione è pronta, lascio a malincuore il negozio: vorrei ancora fermarmi per un po’, ma il mio compagno reclama la sua dose quotidiana di birra.

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A pochi passi c’è Kaschk, una birreria un po’ grezza con tanto di cane che si aggira tra i tavoli. Beviamo due pinte di Berliner Berg e dividiamo un cinnamon bun prima di affrontare i venti minuti di viaggio che ci porteranno dall’altra parte della città. Mi rendo conto di non aver dedicato nemmeno mezza giornata a quella che un tempo era Berlino Ovest, per cui decidiamo di vedere uno dei simboli della ricchezza occidentale. Il Kaufhaus des Westens, abbreviato in KaDeWe, è il grande magazzino dell’ovest. Rimaniamo per cinque minuti, poi ci facciamo largo tra borse di Vuitton e Chanel, sperando di non venire accecati da un diamante di Cartier. Ho letto che il sesto piano, dedicato alla gastronomia, merita almeno una visita, ma non ce la faccio. Mi ricorda Harrods e Selfridges, e non ho voglia di approfondire la conoscenza. Molto meglio l’Est, con le sue stradine tranquille e silenziose.

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Intanto si è fatta l’ora di cena, il nostro ultimo pasto a Berlino. Non avendo trovato nessuna pop-up dinner, ho ripiegato su Katz Orange, nel distretto di Mitte. Mi avevano colpito le foto con i tavoli di legno grezzo e cuochi dall’aria giovane e arruffata, ma soprattutto la presentazione. Da Katz Orange ti senti a casa perché all’amore per i dettagli uniamo la sostenibilità. Erano bastate poche parole per farmi innamorare.

Attraverso di corsa il cortile interno decorato con piccole candele e urlo il mio cognome al maître. Veniamo accompagnati a un tavolo in una saletta dalle luci soffuse, oltre la cucina a vista dove i cuochi sono indaffaratissimi. Scegliamo i piatti, decidendo di saltare l’antipasto perché “tanto non finiamo mai tutto”. Quando la cameriera mette in tavola il cibo pensiamo che si tratti di amuse-bouche, invece no: l’arrosto in consommé non è altro che un osso con un pezzettino di carne affondato nel brodo, e il mio parfait di fegato di selvaggina è una polpetta grande come una moneta. Finiamo tutto, compreso il secondo cestino di pane, e ordiamo il formaggio, porzione grande, poi la cheesecake e la torta al cioccolato. Di solito ci basta poco per essere sazi, ma questa volta abbiamo ancora fame. Tuttavia, sappiamo già che il conto ci toglierà l’appetito: quasi 100 euro in due. Un po’ esagerato per quello che abbiamo mangiato, ma soprattutto considerando che a Berlino siamo stati in posti migliori spendendo meno. Non arriverei al punto di dire che Katz Orange non mi sia piaciuto, ma rispetto ad altri locali è sicuramente più pretenzioso e artificiale.

Lasciamo il ristorante e i suoi clienti radical chic e ci incamminiamo sotto la pioggia, dicendo addio a questa città così difficile, così controversa.

THE FOOD TRAVELER RINGRAZIA AIRBERLIN E SCANDIC HOTELS PER AVER CONTRIBUITO ALL’ORGANIZZAZIONE DEL VIAGGIO

31 pensieri riguardo “Auf Wiedersehen, Berlino

  1. Mi hai fatto assaporare il relax di quella latteria, che bello riscaldarsi guardando distrattamente i passanti dalla vetrina…esattamente con il contenuto di quei piatti poi! 😛
    Che profumazione ti sei fatta preparare? Anche io voglio inebriarmi mentre aspetto, vado subito a vedere dove trovo un punto LeLabo più vicino!
    Hahahah mi piace come hai “obbedito” alla pantofolaia! Come fai a trovare il tempo per lo shopping? Dimmi il tuo segreto! 😉

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  2. Anche questo racconto mi è piaciuto moltissimo! Non sono mai stata a Berlino, ma credo che almeno una volta nella vita vada vista, per il peso del passato difficile che porta sulle spalle. Al di là dei discorsi seri…Mi ha fatto sorridere l’episodio della “pantofolaia”: ti immaginavo sull’attenti! 🙂

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  3. Secondo me sei stata bravissima a cogliere le mille contraddizioni di Berlino. La prima parte, quella sul muro, è quella che preferisco. L’ho avvertita come più intima e sentita. Io, che a Berlino non ci sono mai stato, non riesco proprio a immaginare come dovesse essere vivere non in una città, ma addirittura in un palazzo diviso in 2. Agghiacciante. La vita di quelle persone è stata influenzata in una maniera che non possiamo concepire.

    P.s. peccato per il Katz Orange: la foto dell’interno prometteva benissimo 😦

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    1. Grazie Marco, mi fa piacere che il mio resoconto ti sia piaciuto. È davvero difficile immaginare che si possa arrivare al punto di costruire un muro per impedire alle persone di passare dall’altra parte. La cosa ancora più inquietante è che è successo in un passato molto vicino, non nel medioevo.
      Sì peccato per Katz Orange, e poi proprio l’ultima sera!

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  4. Per me potresti scrivere un libro su Berlino, lo leggerei tutto…
    Condivido in pieno tutte le tue emozioni su questa città, sono le stesse sensazioni che ho vissuto io attraversandola e di certo – ma in parte, sicuramente – sono quelle di chi a Berlino ci vive e ci ha vissuto.
    E’ innegabile che io debba tornarci e che debba dedicare molto, ma mooooolto più tempo a Berlino Est, anche se credo che – nonostante l’esperienza in città – mi sconvolgerà esattamente come la prima volta.
    Complimenti come sempre :*

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  5. A parte tutto quel cibo dell’ultima parte che ci ha fatto venire l’acquolina in bocca nonostante la tua delusione, comprensibile, dobbiamo dirti che hai girato davvero molto Berlino permettendo anche a noi di scoprire angoli di questa città che – nonostante la nostra avversione – ce la fanno quasi piacere! O meglio ci fanno incuriosire, che è poi quel che un Travel blogger deve generare nel lettore secondo noi. La curiosità. La meraviglia e la voglia di partire.
    La storia del muro mi tocca ogni volta, mi fa rabbrividire e commuovere…la storia contemporanea mi appassiona ma è crudele ed è peggio di un pugno allo stomaco. Berlino è un po’ la mano che ti sferra quel pugno.
    Un bacione !

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  6. Che bello LeLabo, a Roma ho lavorato quasi tre anni in una profumeria molto più sfigata, sognando un giorno di poter vendere fragranze elitarie 😀 poi sono finita a lavorare nell’IT, ma quella è un’altra storia! Il racconto della “pantofolaia” esprime in pieno il pragmatismo teutonico: togli, misura, levi, compra, paga! Dite la verità, dopo il Katz siete andati a mangiarvi un bel Currywurst per strada, vero? 🙂 🙂
    Un abbraccio!

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  7. Non mi sarei mai aspettata un racconto come questo..o meglio, di Berlino fin’ora ho sentito parlare solamente della parte in cui l’acciaio incontra il vetro e delle folli notti con la musica a tutto volume. Nel mio immaginario è una città “dura” che oltre al ricordo lascia poco spazio ad altro, come appunto la profumeria o la latteria..che fanno molto “pizzicagnolo” di quartiere.

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  8. Che bel racconto, Silvia. Così mi piace scoprire le città, tra storia, passeggiate, momenti trascorsi nei caffè a osservare la gente, acquisti (perché no!) e pensieri. Continuo a pensare che questa Berlino sia molto diversa dalle altri capitali europee, che forse sono più facili da amare al primo sguardo; eppure sono certa che, come tutti i luoghi con un pesante passato alle spalle, trasmetta emozioni… e l’ho sentito nei tuoi post ❤

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  9. “L’amore per i dettagli e sostenibilità, ti senti a casa tua” e mi presenti un pezzo di carne grosso come una moneta? E 100 euro in due?! Ma io te metto le mani addosso! A casa tua DOVE, di grazia? E non dicessero che i tedeschi mangiano poco, perché a Monaco il cibo ci usciva dalle orecchie.

    Adoro adoro adoro gli oggettini che hai scelto come souvenir! Il profumo ti ha dato problemi per l’aereo? Lo hai scelto in formato da viaggio?

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    1. Ma sì infatti, a casa di Barbie forse si mangia un pezzo di carne da 5 grammi 😉 E pensa che la sera prima in un altro posto ci avevano portato mezzo pollo a testa!
      No nessun problema con il profumo perché ho preso il formato da 50 ml “travel size”.
      Buona giornata 🙂

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