Racconti del 31 ottobre: l’altro ospite

Sono in ritardo con l’iniziativa #raccontidel31ottobre, ma tra oggi e domani si celebrano comunque i santi e i morti, dunque l’atmosfera è adatta alle storie di fantasmi. L’idea di Daniela di Orsa nel Carro è spaventosa, nel senso che i suoi racconti – e quelli di Alessia di Where Are Ale & Vale – mi hanno fatto venire i brividi.
Dalla Scozia a Venezia alla provincia di Salerno: dopo aver letto le loro storie ho immaginato sagome spettrali che si muovono lungo corridoi bui, sfiorando le pareti con mani pallide e fredde, e ho ricordato una notte di novembre di qualche anno fa…

Siamo nel Somerset, una destinazione un po’ insolita durante questo periodo dell’anno, ma dopo qualche mese impegnativo sul lavoro, un viaggio attraverso le regioni del South West inglese è quello di cui ho bisogno. Mi aspetto pioggia, freddo e vento, ed è esattamente ciò che trovo già dal primo giorno. L’itinerario prevede una tappa a Glastonbury, piccola città famosa per il festival musicale che attira migliaia di persone da tutto il mondo. Noi non siamo qui per farci instagrammare con i wellies pieni di fango, bensì per calarci nell’atmosfera delle leggende di Avalon. Dal XII secolo Glastonbury viene infatti associata con la leggenda di Re Artù, al punto tale che secondo alcuni storici questa città non è altro che l’antica Avalon.

La prima tappa lungo le tracce dei cavalieri della Tavola Rotonda è il Tor, una collina poco lontana dal centro: si arriva a piedi, lungo una salita resa impegnativa dal vento gelido che taglia la faccia e sembra volerci spingere via. In una giornata limpida si può ammirare Glastonbury dall’alto, ma oggi c’è la nebbia, spessa come una coperta stesa sulla città. Ci impedisce di vedere qualunque cosa e ci fa sentire completamente isolati. Siamo noi, poche altre persone e la torre di Merlino, con i nostri passi che rimbombano tra le pareti in rovina.

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Scendiamo a valle, attraversando la nebbia verso la città, dove si trovano i resti della Glastonbury Abbey. Non ha avuto molta fortuna: fu costruita nel VII secolo ma venne distrutta da un misterioso incendio nel 1184. Dopo la ricostruzione divenne una delle più ricche del paese, fino a quando Enrico VIII ne ordinò la confisca attraverso il processo della soppressione dei monasteri. Come se non bastasse, l’ultimo abate, Richard Whiting, fu condannato come traditore, impiccato e squartato sulla collina del Tor insieme ai suoi confratelli. Ancora oggi, a distanza di oltre cinquecento anni, sembra di respirare l’odore della paura. È come se il sangue versato e le urla di terrore degli uomini trascinati via per essere uccisi avessero impregnato le pietre dell’abbazia e l’erba che cresce dove un tempo c’erano le navate.

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Nemmeno un tè bollente e uno scone con clotted cream servono a far passare la sensazione di disagio. Non riesco a non pensare ai poveretti e ai loro cadaveri appesi a una corda in cima alla collina, tra le quattro mura della torre.
Poco dopo siamo in macchina, diretti alla manor house: passeremo la notte in un maniero. Immagino camini accesi, tende di velluto a tenere lontano il freddo e un paio di cani addormentati sul tappeto. Ma il navigatore satellitare non ne vuole sapere di portarci a destinazione: arriviamo nel villaggio, giriamo in tondo e torniamo al punto di partenza. Dopo mezz’ora finalmente ci fermiamo per chiedere indicazioni: il maniero è proprio dietro l’angolo, ci siamo passati davanti almeno tre volte senza vederlo.

abandoned ancient antique architecture
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Entriamo tramite un cancello che attraversa l’alto muro di cinta della proprietà: siamo sicuri che quel cartello con il nome del B&B ci fosse quando siamo passati oltre, poco prima? Percorriamo il viale di ghiaia che si snoda tra gli alberi, fino ad arrivare al maniero. È un edificio di pietra, austero ed elegante come solo certe case inglesi sanno essere. Le finestre del pian terreno sono illuminate, e questo è un buon segno. O almeno spero. Mentre sollevo il battente di ottone a forma di pugno dico a me stessa che se si dovesse ripetere la scena bizzarra dell’Irlanda scapperò a gambe levate. Ma una donna sulla sessantina ci accoglie nella sua casa con un sorriso: sembra molto amichevole e non ha nulla di spettrale.

La donna, intendo. La casa invece è un’altra cosa. Sbircio a sinistra dell’ingresso e scorgo un salotto con divani a fiori, moquette e una finestra che si affaccia sul cortile posteriore. Oltre il corridoio, una scala di legno che scricchiola sotto i piedi conduce al pianerottolo del primo piano, presidiato da un’armatura. Sembra muoversi verso di noi, ma forse è l’effetto della visiera abbassata che lascia intravedere lo spazio dove dovevano esserci gli occhi di chi la indossava. Ce ne sono quattro lungo il corridoio e si accompagnano ai dipinti che ritraggono forse gli antenati dei proprietari. Lo schema si ripete fino in fondo: armatura-dipinto-finestra-armatura-dipinto-finestra.

Prendiamo possesso della camera, piccola ma accogliente. L’arredamento non è diverso dal resto del maniero: letto a baldacchino, carta da parati abbinata alle tende.
Neanche dopo una doccia bollente smetto di rabbrividire: forse mi verrà l’influenza, ma non voglio saperne di perdermi i piatti serviti nella inn poco distante. Finita la cena maledico l’idea del mio compagno di non prendere la macchina: meglio uscire a piedi così possiamo berci una birra in tranquillità, secondo lui. Intanto ha iniziato a piovere: gocce piccole, ma fredde e pungenti come sottili aghi ghiacciati. Il viale che in macchina era sembrato lungo nemmeno cento metri ora non finisce più: corre tra gli alberi, attraverso l’oscurità, attraverso i rumori delle foglie secche schiacciate dagli animali che si muovono nel parco.

Quando arriviamo al maniero le luci del pian terreno sono spente, come quella alla nostra finestra. Eppure sono certa di aver acceso la lampada sul comodino prima di lasciare la stanza. Mi affretto ad aprire la porta, poi mi decido ad affrontare la scala scricchiolante. Non troviamo l’interruttore, né a destra, né a sinistra, nemmeno in cima alla scala. Impossibile pensare di percorrere il corridoio al buio, per cui usiamo la torcia del cellulare. Il fascio di luce colpisce le pareti rivestite di legno scuro, creando ombre oblunghe sul tessuto delle tende che sfiorano il pavimento: sono talmente spesse da poter celare una persona tra la finestra e il velluto. Evito di guardare i ritratti appesi alle pareti: chi li ha dipinti aveva talento, perché gli occhi degli uomini immortalati sulla tela si muovono in maniera impercettibile, seguendo ogni nostro passo.

Una volta in camera provo a tranquillizzarmi, senza riuscirci. Qualcuno è stato qui: ha spento la luce e ha chiuso le tende. Sicuramente la padrona: una cosa normale in tanti B&B, ma in questo caso un po’ mi inquieta. Mentre mi preparo per andare a dormire sento dei rumori provenire dal cortile: forse un altro ospite, che come noi dovrà affrontare il lungo corridoio senza luci. Lo scricchiolio della ghiaia sotto i suoi passi pesanti si sente fino qui, come se ogni rumore proveniente dalla casa e dal cortile venisse amplificato. Mi metto a dormire cercando di non pensare ai volti degli uomini ritratti nei dipinti, sebbene ci sia solo una sottile porta di legno a separarmi da loro.

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Photo by Suzy Hazelwood from Pexels

Quando mi sveglio di soprassalto non so se siano passati pochi minuti o qualche ora. Un rumore, come quello di un oggetto pesante caduto a terra sveglia entrambi. Ho il cuore in gola e mi chiedo cosa possa essere stato: forse un quadro che si è staccato dalla parete? Pochi secondi ed ecco che lo stesso rumore si ripete. Non capisco se proviene dal corridoio o dalla stanza accanto. E se magari l’ospite che ho sentito arrivare avesse fatto cadere una delle armature?
“Sarà il vento”, bofonchia la voce di fianco a me. Provo di convincermi che sia così e, con la coperta fin sopra le orecchie, cerco di riaddormentarmi nonostante il vento e la pioggia fuori dalla finestra, evitando di pensare allo sventurato abate di Glastonbury.

Il mattino dopo sembra tutto un ricordo lontano: fuori c’è il sole, che con i raggi illumina le foglie rosse e gialle degli alberi del parco. Alla luce del giorno è tutta un’altra cosa. Quando scendiamo per fare colazione, i personaggi dei ritratti sembrano quasi sorridere. La padrona ci accoglie nella dining room e ci chiede come abbiamo dormito. Mi vergogno ad ammettere di aver avuto paura, per cui le dico che siamo stati benissimo.
“How’s the other guest?” le domando, aggiungendo che l’uomo deve aver inciampato nel cuore della notte, o fatto cadere qualcosa di pesante. Lei mi guarda, piegando la testa di lato. Forse vive in un’altra parte del maniero e non ha sentito nulla, o forse l’altro ospite ha rotto qualche oggetto antico, e allora avrei fatto meglio a tenere la bocca chiusa.
There are no other guests”, risponde, continuando a versare il tè nelle tazze. A quel punto devo insistere. Devo trovare una spiegazione ai rumori della notte. Guardo il mio compagno, che però ha occhi solo per il pane tostato e le uova strapazzate.
Must have been the wind”, commenta laconica prima di tornare in cucina con la teiera ormai vuota.
Già, sarà stato il vento.

Cover photo by Matt Hatchett from Pexels

26 pensieri riguardo “Racconti del 31 ottobre: l’altro ospite

  1. Adesso si chiama vento, eh!
    Silvia ho letto il post con le mani giunte al viso tipo preghiera!
    Mi è sembrato di salire quelle scale in una visione in soggettiva guardando quella terribile successione armatura-dipinto come un film horror!
    Io a quel punto avrei preteso di vedere il registro! La padrona del Manor l’ho immaginata con le fattezze di Mrs.Bertha Mills la governante del film The Others! Brrrrrr….
    Racconto strepitoso, grazie per aver partecipato al tag! 🙂
    Ps: Bentornata!

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  2. Quanto sei brava a scrivere questo genere di racconti! Dovresti scrivere un libro. Descrivi in maniera impeccabile rumori, immagini, sensazioni. E c’è sempre quella curiosità di andare oltre e vedere come va a finire. Comunque, secondo me, quel rumore nel cuore della notte, era la signora che ha inciampato in qualche cosa, Ah, se avesse tenuta accesa quella luce! 😉

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  3. Te l’ho sempre detto che scrivi in maniera divina e sopratutto quando si tratta di storie spaventose e macabre! Io ne sono attratta da morire e starei ore a leggerti!
    È tutto perfetto nei tuoi racconti.
    Secondo me, la proprietaria aveva qualcosa da nascondere, troppo sfuggente. Sapeva qualcosa….

    Un bacione Silvia 🙂

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  4. Racconto fantastico! Alla fine mi sono immaginata la proprietaria del b&b che dice “must have been the wind” con lo stesso sorriso diabolico delle due vecchie de “La casa dalle finestre che ridono”, quel film è veramente inquietante. Devo dire che anche la campagna inglese si presta bene ai racconti horror, non avrei mai immaginato.
    Un abbraccio!

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  5. Mamma mia..mi sono immaginata in quella camera, con gli occhi sbarrati e le orecchie tipo parabola pronte a captare il minimo rumore. Hai la capacità di teletrasportare nei luoghi di cui stai parlando..però io ora voglio sapere se era il vento, il fantasma o la signora killer che faceva fuori i clienti antipatici.. 🙂

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    1. O il vento o un fidanzato della padrona che ha scaraventato a terra un’armatura 😉
      Ne ho una collezione di posti memorabili, dall’hotel con i topi in camera a New York al B&B in Irlanda dove la padrona mi ha mostrato tutto il corredo nuziale 😉 Ultimamente – per fortuna o purtroppo – non mi è più capitato, forse perché qualche anno fa non c’era Trip Advisor (o io non lo conoscevo, probabilmente…) per cui mi affidavo unicamente a qualche immagine trovata su internet. E penso proprio di avere una specie di calamita per i posti strani 😉

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  6. Silvia, dopo la tua avventura nel BeB irlandese delle bambole questa é quasi peggio! Scale scricchiolanti, vecchie armature, quadri con ritratti ma soprattutto lei, la dolce vecchietta che me lo sento non ce la racconta giusta! Devo essere sincera ho un po’ di timore a prenotare un BeB per il prossimo viaggio!

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  7. Ma lo sai che WordPress mi ha mandato ora questa notifica?!🤔 Alla buon’ora!
    Questo racconto è semplicemente meraviglioso! Lo so, sono ripetitiva a dirti che sei bravissima…Ma mi hai tenuto col fiato sospeso tutto il tempo, fino a che non hai scritto che il tuo compagno aveva occhi solo per le uova strapazzate..☺ Hai saputo allentare la tensione come sanno fare i maestri del brivido! Io voglio andare nei posti dove vai tu. Un giorno ti chiederò tutti gli indirizzi, uno per uno😉

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