Ricordando un viaggio: lost in Portland, Oregon

Provo dei sentimenti contrastanti nei confronti di Portland, città che ho visto qualche anno fa durante uno degli ultimi viaggi di lavoro prima delle vacanze di Natale: tante ore di volo, poco riposo e indirizzi che confondono le idee…

Avrei dovuto capirlo subito che Portland è una città che disorienta. Già in aeroporto, al check-in al Seattle-Tacoma, l’addetta della Delta Airlines mi domanda: “Portland, Oregon, right?” Come se nemmeno lei ne fosse sicura. Stessa scena al controllo bagagli, dove il poliziotto mi interroga sulla mia destinazione.
“Portland,” rispondo porgendo la carta d’imbarco.
“Portland Oregon or Portland Maine?”
Lo ripeto con una punta di irritazione: vado in Oregon.
Negli Stati Uniti esistono ben due Portland: una in Maine, sulla costa est, e una a ovest, nello stato dell’Oregon. Pettygrove e Lovejoy, i due buontemponi che nel 1846 fondarono la città sulla costa ovest, decisero di chiamarla come il loro paese natale, situato a oltre 3.000 miglia di distanza.
Ma non è finita: al gate una hostess mi chiede: “Portland, Oregon?” Forse tutti in questo aeroporto pensano che io sia una turista italiana sprovveduta. O che sia stupida.

Dopo nemmeno un’ora di volo arrivo a destinazione: il mio collega, arrivato da New York, mi aspetta in aeroporto e insieme prendiamo un taxi per il DeLuxe Hotel, un piccolo albergo in zona Dowtown.

Il mattino successivo siamo pronti ad avventurarci per le vie della città, diretti al Wild Salmon Center, dove passeremo la giornata tra riunioni e incontri. È una fredda mattina di dicembre: l’aria ghiacciata che arriva dal Canada sferza la pelle. Ma noi vogliamo camminare per vedere qualcosa.

È una città a scacchiera, non ci si può perdere, dico al mio collega. Sono proprio queste le città che amo di più: le vie sono disposte in una griglia ordinata, le streets si incrociano con le avenues ad angolo retto, seguendo una numerazione progressiva. È semplice: l’albergo si trova sulla quindicesima avenue, mentre il Wild Salmon Center sulla nona. Questa città potrebbe quasi piacermi, anche se per il momento non ha niente di remarkable, come direbbero qui. Dopo due isolati inizio a ricredermi: come potrei non apprezzare un posto con una strada che si chiama Salmon Street?

zach-savinar-38Ik75KQNhk-unsplash
Photo by Zach Savinar on Unsplash

Finite le riunioni, decidiamo di tornare in hotel a piedi. L’aria gelata ci schiarirà le idee. Non fosse che, usciti dall’edificio, invece di girare a destra e poi ancora a destra, svoltiamo a destra e poi a sinistra. Questo si rivelerà essere il primo errore. Ma non lo sappiamo ancora e siamo convinti di essere due esploratori nella giungla urbana. Vediamo un locale che al mattino non avevamo notato, il Tugboat. Apriamo la pesante porta di legno e prendiamo posto a uno dei tavoli sistemati sotto scaffali carichi di libri. Ordiniamo due birre e le beviamo senza mangiare nulla: secondo errore. Poco dopo ci incamminiamo lungo quella che crediamo essere la strada per l’albergo, ma dopo qualche isolato ci troviamo a Chinatown. Battezzare così questo angolo di Portland tra la sesta e la prima avenue è secondo me un’esagerazione. Le uniche cose che ricordano vagamente la Cina sono i lampioni rossi e le insegne dei ristoranti. Ci sono anche i giardini cinesi Lan Su e il Chinatown Gate, ma qui nella Old Town sembrano più fuori luogo che in altre città. Forse è un altro scherzetto di quei due mattacchioni di Pettygrove e Lovejoy, o forse sono gli effetti della Tugboat Ale.

Chiediamo indicazioni a un passante, ma siamo distratti dall’insegna di Powell’s Books, la più grande libreria del mondo: occupa un isolato intero e i suoi scaffali ospitano oltre un milione di volumi. Compro un libro di ricette – io, che non so cucinare – e lo pago 40 dollari, cercando di convincermi che sia il migliore investimento della giornata.

Al ritorno in albergo vorrei dormire per 12 ore, ma abbiamo un appuntamento a cena. C’è ancora tempo, anche perché l’hotel è sulla Quindicesima Avenue e il ristorante sulla Diciottesima: non più di cinque minuti a piedi. Terzo errore: poco prima dell’orario convenuto con i nostri ospiti lasciamo l’hotel e ci incamminiamo verso la Diciottesima. Ma del Castagna Restaurant neanche l’ombra. Percorriamo la via avanti e indietro, senza successo, e dopo un po’ decidiamo di chiamare il locale. Quando rispondono sono leggermente irritata: vorrei chiedere Where the hell is your restaurant, ma la buona educazione me lo impedisce. Spiego al cameriere che mi trovo sulla Diciottesima, ma che non riesco a trovare il Castagna. Lui rimane in silenzio per un po’, poi mi domanda: “18th Avenue South East, right?”

Scrollo le spalle: non ne ho la più pallida idea. Il mio collega consulta Google Maps: South West, dice. Lo ripeto al ragazzo del ristorante, e sono certa di sentirlo sghignazzare. Gli domando se sia raggiungibile a piedi e lui, con una risata malefica, mi spiega che è dall’altra parte del fiume Willamette, a oltre tre miglia. Mentre saliamo sul taxi maledico i fondatori di Portland. Dovevano essere due sadici per dare alle vie lo stesso nome, sia da una parte del fiume che dall’altra. Perché non è come a New York dove la ventiseiesima strada ovest è a una distanza ragionevole dall’omonima est: Portland è una città a specchio, divisa in quattro quadranti, dove la stessa strada inizia e finisce in zone diametralmente opposte.

Quando arriviamo a destinazione siamo furibondi e in ritardo: non mi stupirei se le persone che dobbiamo incontrare avessero deciso di andarsene. Mi aspetto anche che il Castagna sia un posto terribile, con cibo scadente e personale sgradevole.
Mi ricredo in fretta, per fortuna: è un locale dall’aspetto moderno, dove vengono serviti piatti tradizionali serviti con ingredienti provenienti dal Pacific Northwest, ci spiegano i nostri ospiti. Ordino insalata di granchio con burro di latte di capra come antipasto, filetto di salmone servito con zucca calda come piatto principale, e meringa al lime per finire. Il cibo è ottimo e l’atmosfera piacevole: è grazie al Castagna se alla fine della giornata mi riconcilio con Portland in Oregon.

Cover photo by Zack Spear on Unsplash

20 pensieri riguardo “Ricordando un viaggio: lost in Portland, Oregon

  1. Ti dirò che la foto sotto la neve mi affascina non poco 😀 Però capisco la sensazione di essere disorientata in una città labirintica e, diciamolo, un po’ anonima. Il menu salmone e meringa al limone è fantastico: meno male che esistono posti come il Castagna. Comfort food in Oregon!

    Piace a 1 persona

  2. Ahah anch’io ero pronta a un “Ma no, il Castagna è a Portland in Maine” 😀 per fortuna si è risolto tutto, tra l’altro il menù sembra davvero invitante, alla faccia di chi crede che gli Stati Uniti siano solo burger e patatine! Comunque sulle strade ti capisco, anche qua a Budapest ci sono tantissime vie omonime ma appartenenti a un distretto diverso. Della serie: fantasia, questa sconosciuta…
    Buon fine settimana!

    Piace a 1 persona

    1. Purtroppo in tanti pensano che la cucina americana non abbia molto da offrire, mentre invece ci sono davvero tante cose interessanti (sempre che uno non si perda mentre cerca di raggiungere il ristorante!)
      Ma chissà perché non possano metterci un po’ più di fantasia a dare i nomi alle strade…

      "Mi piace"

  3. Ahahahah mi hai morire dalle risate!! Oddio che cosa atroce una città a doppio specchio, credo che mi perderei veramente ogni nanosecondo. Sai che che io sono stata a Portland nel Maine e mi è successa una cosa molto simile: il navigatore sembrava conoscere solamente la Portland dell’Oregon e per tutta la serata abbiamo dovuto reimpostarlo perchè continuava a mandarci dall’altra parte dell’America.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.