Il ciabot della strega: lungo i sentieri delle masche

Le streghe non ci sono solo a Salem. Esistono anche nel piccolo paese del Piemonte in cui vivo. Solo che qui sono conosciute con un altro nome: a Pocapaglia, la strega la chiamiamo masca. Di solito si tratta di personaggi femminili, dotati di poteri soprannaturali: nel basso Piemonte, ogni evento inspiegabile veniva attribuito a questa figura a metà tra una fattucchiera e uno spirito maligno.
Domenica scorsa, approfittando della bella giornata di sole, ho deciso di partire per una piccola gita a piedi: una passeggiata di poco più di sette chilometri, che da casa mia porta attraverso i boschi di Pocapaglia, lungo i sentieri della Masca Micillina.

Sentiero verso ciabot

Sono molte le leggende che circolano qui nel paese delle rocche e dei burroni, ma la più accreditata è quella che ho raccontato su Viaggi Low Cost. Narra di una donna di nome Michelina (e da qui, Micillina) originaria di un paese vicino e data in sposa a un pocapagliese burbero. Per sottrarsi alle violenze del marito, Michelina si nascondeva nei boschi. Nessuno osava avvicinarla, sia per via dei suoi modi schivi, sia perché era una forestiera. Le venne così affibbiato il nome di masca, a indicare una donna malvagia. Le circostanze non furono d’aiuto alla poveretta che, tornata un giorno a casa dal mercato, trovò il marito senza vita, accanto a un albero di gelso. La voci sul suo conto furono sufficienti per convincere i compaesani dell’uomo che Michelina fosse una strega. La donna venne accusata di stregoneria, torturata e bruciata sul rogo. Ancora oggi, a oltre trecento anni di distanza, gli anziani del paese sostengono di vedere la Masca Micillina aggirarsi per i boschi e le rocche di Pocapaglia, insieme ad altre sue compagne di stregoneria.

Il sentiero di Rocca Creusa è impervio, e in alcuni tratti è addirittura franato. A un certo punto, dopo una curva ripida e stretta, ci si trova davanti a un’edicola con tanto di immagine della Madonna: ce ne sono parecchie sparse tra i sentieri in collina, ma questa mi colpisce per via del vaso di fiori. Sono freschi, e si notano in mezzo all’edera che si avvinghia tutt’intorno alla struttura. Qualcuno deve essere passato di qui negli ultimi due giorni apposta per depositare il mazzolino bianco e giallo.

Edicola.jpg

Dopo poco più di dieci minuti di cammino, si arriva a un ciabot: si tratta di un piccolo fabbricato molto diffuso tra i vigneti piemontesi, utilizzato un tempo come deposito per gli attrezzi e riparo per i contadini. Oggi la maggior parte dei ciabot della zona è in stato di abbandono, tanto che spesso non esistono nemmeno più i sentieri che si utilizzavano per raggiungerli.

Ciabot arrivando

Mi chiedo se la stessa persona abbia proseguito lungo il sentiero sulla destra, non quello che porta a Pocapaglia, ma quello che conduce fino in cima alla collina. Non c’è nessuno, e l’unico rumore è quello dei miei passi. Supero una struttura derelitta, formata da una tettoia e da quelli che sembrano i resti di un forno in mattoni: anche qui c’è edera ovunque, segno che da tempo nessuno si avvicina.

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Dopo pochi metri il sentiero è sbarrato da un asse di legno incastrato tra un albero e l’altro: forse è una proprietà privata, ma evidentemente il padrone non ha fatto molti sforzi per impedire che qualcuno andasse oltre. Scavalco il legno ormai marcio e mi dirigo verso il ciabot: da vicino è più grande di quanto immaginassi. Nonostante la base quadrata sia piuttosto piccola, il vecchio edificio dipinto di un giallo ormai sbiadito ha due piani. Due finestre su un lato sono chiuse, mentre una terza – ormai senza vetri – ha le imposte aperte.

Ciabot close up.jpg

I ciliegi e i gelsi della collina hanno i rami carichi di fiori rosa e bianchi, a differenza dell’albero rinsecchito proprio accanto al ciabot. Ha un ramo spezzato, ripiegato a un angolo irregolare: ricorda quasi il braccio rotto di una persona. Per un attimo immagino una corda penzolante, il peso di una persona che spezza il legno secco e cade a terra senza vita: penso al marito della Masca Micillina, e alle accuse che le furono mosse. Mi vengono in mente immagini della strega, impiccata con una corda a quel ramo, poi penso che non è morta per impiccagione ma sul rogo.
Il sole si nasconde dietro una nuvola mentre avanzo facendomi strada tra l’erba alta. Ormai sono vicinissima, mi basta svoltare l’angolo per essere proprio di fronte alla facciata del piccolo edificio.

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La finestra del pian terreno è aperta, le imposte appoggiate alla parete, come se qualcuno le avesse spalancate per dare arieggiare l’interno. Mi avvicino, cercando di spiare attraverso le inferriate arrugginite. Come era prevedibile, la stanza è una cucina. C’è un vecchio camino, di quelli che servivano non solo per scaldare l’ambiente, ma anche per cucinare il cibo. Sul lato lungo un lavandino di granito, accanto a un tavolo di legno con due sole sedie. Come se quella casa fosse stata concepita per ospitare non più di due persone. Accanto al tavolo, una scopa di saggina. Un’altra finestra è aperta, ormai senza vetri. Dal soffitto pende un cavo di ferro: forse un tempo reggeva un lampadario a candele, dato che la corrente elettrica non arriva fino qui.

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Sullo stesso lato della finestra c’è una porta: in tempo doveva essere stata dipinta di un verde acceso, ma ora il colore è impallidito. La pioggia e l’umidità hanno fatto gonfiare il legno, al punto tale che la parte superiore della porta non aderisce allo stipite. Una leggera spinta e si apre cigolando sui cardini. Indietreggio e mi guardo le spalle: se qualcuno mi avesse sentita e seguita fino qui? Se il proprietario fosse proprio dietro di me, pronto a farmi scappare attraverso le vigne, correndomi dietro con un forcone? Respiro sollevata: non c’è anima viva. Spingo ancora un po’ la porta, quanto basta per far passare la testa e spiare meglio.

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Dietro l’ingresso c’è una scala di legno che porta al piano superiore, dove probabilmente c’ero lo spazio adibito a camera da letto. La tentazione di salire è forte, ma gli scalini hanno l’aria di essere marci, o comunque poco stabili. Non voglio correre il rischio di verificare se reggono il mio peso: se dovessi cadere e rompermi una caviglia, chi mi troverebbe? L’idea di passare la notte tra queste quattro mura, in compagnia del vento che si infila attraverso le inferriate e fa sbattere le imposte sui muri non mi entusiasma per niente. Probabilmente sentirei dei passi o, peggio ancora, scorgerei delle ombre oblunghe sotto la luce pallida della luna.

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No, non sono abbastanza coraggiosa. Cerco di richiudere la porta, lasciandola com’era prima. Magari questo posto ha un proprietario, o forse c’è una qualcuno che ogni tanto passa del tempo qui: in ogni caso, non mi va che questa persona abbia modo di accorgersi della mia presenza.
Mi allontano velocemente, diretta verso il sentiero che porta a Pocapaglia. Cerco di non farmi suggestionare, di non fare caso all’aria fredda che si è alzata all’improvviso, sibilando tra i rami degli alberi che rendono la stradina sterrata più buia di quanto mi ricordassi.

Sentiero boschi.jpg

Sento un rumore lontano, ma non può che essere un animale. Forse una delle tante civette, o comunque un volatile che ha fatto schioccare qualche ramo volando via. Cerco di pensare a qualcosa di divertente, di farmi venire in mente le strofe di una canzone allegra. Ma non c’è niente da fare, l’unica cosa che mi frulla in testa è la strofa di una canzoncina per bambini che fa più o meno così: she had a house, it stood on the wood where an owl at the door as sentinel stood…

29 pensieri riguardo “Il ciabot della strega: lungo i sentieri delle masche

  1. Bellissimo racconto, sono restata incollata fino all’ ultima riga! Io non sarei stata così coraggiosa da andare da sola…poi mi suggestiono facilmente e avrei rischiato di morire di infarto al primo fruscio! Pensa che da piccola mia nonna mi raccontava le leggende delle Sibille che abitano i monti Sibillini (lei é marchigiana) ed io puntualmente la notte non dormivo anche se le storie popolari mi attirano tantissimo fin da piccola!

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  2. Li adoro questi racconti che descrivono posticini insoliti, diversi e con una storia dietro!
    Però, Silvia, non hai “completato il lavoro”.
    Giacobbo avrebbe superato quei gradini a-quattro-a-quattro- cantando la filastrocca:

    “One, Two: Freddy’s coming for you;
    Three, Four: Better lock your door;
    Five, Six: Grab your crucifix;
    Seven, Eight: Gonna stay up late;
    Nine, Ten: Never sleep again!”

    Scherzo, hai fatto bene a non rischiare XD
    Un Oscar al coraggio per esserci andata SOLA! 😉
    Daniela

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  3. Mannaggia che non sei salita per le scale! Mentre leggevo mi sono trovata a dire “Nooo!”, come quando il protagonista del tuo film o libro preferito non fa quello che avresti voluto. La cosa per me davvero straordinaria di questo articolo è la suspence che sei riuscita a creare, degna delle migliori penne di libri gialli. E poi, ho un debole per le storie popolari, ancora di più per quelle un po’ maledette, come questa della povera Micillina.

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  4. Che avventura da brividi 😀 anche a me piace andare a curiosare nei posti più insoliti. Questa storia di streghe piemontesi mi ha ricordato un bellissimo romanzo di Sebastiano Vassalli, La chimera: è la storia di una giovane strega della provincia di Novara che fa la stessa fine della tua masca. Il libro si basa su documenti storici, perciò la vicenda è reale. Te lo consiglio perché è davvero un bel libro!

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    1. Grazie per il consiglio Chiara, ho visto che La Chimera è disponibile su Amazon. C’è anche un altro libro molto bello dove sono raccolte storie di questo tipo, basate sempre su un fondo di verità: si chiama Una fiaba per ogni regione. Sarebbe un libro per bambini, ma se io l’avessi letto da bambina sarei morta di paura!

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  5. Anche io ho letto la Chimera di Vassalli alle scuole superiori e mi era piaciuto tanto, senza contare che ad un certo punto volevo anche chiamare Antonia (nome della protagonista strega) una mia eventuale figlia ahaha te lo consiglio anche io! Questo post mi ha messo un po’ di ansia e di curiosità allo stesso tempo ma non so quale delle due prevalga 😀

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