In viaggio col capo a New York: da Manhattan a Brooklyn

Appena scesi dal treno a York Street guardiamo la scalinata con lo spirito di due maratoneti all’ultimo miglio. La giornata è iniziata dieci ore prima a Manhattan, dove io e il mio collega assistiamo a una lite furibonda tra il capo e il nostro referente americano. Finita la riunione, ci incamminiamo dietro al boss, cercando di raccogliere quello che come al solito si lascia dietro: riviste, giornali, cellulare. Ultimamente ha ceduto alla tecnologia e si è comprato un iPad: oggi ha dimenticato anche quello, per cui butto tutto nella borsa, pago il conto e corro fuori dall’hotel. Ma il capo ha fatto partire il taxi senza di me. Di nuovo. Cammino per un paio di isolati verso un incrocio trafficato, dove salto su un’auto gialla supplicando il taxista di fare in fretta a portarmi all’angolo tra la Quinta e la Broadway: se arrivo all’inaugurazione con un solo minuto di ritardo, il capo mi rivolgerà una delle sue occhiate cariche di disprezzo.

Hyatt House Hotel New York

Arrivata a destinazione, di fronte al Flatiron Building, perdo due secondi per specchiarmi nelle porte del locale, sperando che l’afa di fine agosto non abbia fatto danni irreparabili ai capelli. Quando entro vedo che il mio capo è già circondato dai nostri ospiti. Il mio collega si accorge di me e iniziamo una conversazione senza parlare.
“Dov’eri?”
“A recuperare quello che aveva dimenticato. Non mi avete aspettato.”
“Lo sai com’è fatto.” Indica il boss con un cenno impercettibile. Forse non ha notato che sono arrivata in ritardo, penso, presentandomi alla donna elegante dello staff del sindaco.
“I miei giornali! Dove sono finiti?” ruggisce il capo. Tutti mi guardano mentre con imbarazzo prendo dalla borsa i quotidiani ormai stropicciati.
Vorrei poter dire che il resto dell’inaugurazione va meglio, ma non è così. L’unica certezza è che anche questa giornata giungerà al termine. La speranza diventa realtà ore dopo, quando il boss finalmente ci congeda. Esultiamo mentalmente e percorriamo a velocità supersonica il mezzo miglio che ci separa dalla 14a Strada. Ci sediamo sul treno della linea F stravolti ma felici: sappiamo che a Brooklyn ci aspetta la nostra amica Maggie. Quando riemergiamo dalle budella della città, la vediamo dall’altro lato della strada, all’incrocio tra York Street e Jay Street, non lontano dalla nostra sede oltreoceano. Maggie ci abbraccia, ma ha una brutta notizia: il Dumbo General Store, il mio locale preferito, ha chiuso. Per sempre. Quasi mi metto a piangere: un bicchiere di Sauvignon seduti a uno dei lunghi tavoli di legno avrebbe trasformato la giornata. Ma Maggie mi dice di non buttarmi giù perché ha intenzione di portarci a cena in un locale speciale.

Williamsburg Brooklyn New York

Ormai faccio fatica a camminare: le scarpe di gomma che al mattino mi erano sembrate una buona idea si stanno amalgamando alla mia pelle. La camicia bianca ormai è grigia, e i pantaloni hanno raccolto la sporcizia dai marciapiedi. Distolgo lo sguardo dai miei vestiti e solo in quel momento mi rendo conto di essere in una parte della città che non avevo mai visto. Stiamo percorrendo una cobbled street, dove al posto dell’asfalto ci sono pietre rettangolari non molto diverse dal porfido. Le case basse di mattoni rossi, con le scale di sicurezza sollevate, sono intervallate da magazzini abbandonati o convertiti in abitazioni. La stradina alberata mi dà l’illusione di trovarmi in un paese di periferia, e anche il rumore del traffico lungo il Manhattan Bridge sembra arrivare da un’altra città. Domando a Maggie cosa siano le rotaie lungo le strade: non ne è sicura, ma crede che si tratti della vecchia ferrovia di Jay Street, costruita per spostare la merce da un magazzino all’altro e verso il porto. Seguiamo le rotaie lungo la stradina lastricata, fermandoci davanti al Vinegar Hill House. Già da fuori so che mi piacerà, con la sua facciata di mattoni rossi, la vetrina dipinta di bianco e la panca accanto all’ingresso.

Attraversiamo il locale dai pavimenti di legno consumati, destreggiandoci tra i tavoli, fino ad arrivare al cortile interno, dove ci sediamo sotto decine di file di lampadine bianche. Il sole è tramontato e l’aria è fresca, e dopo un bicchiere di Chardonnay californiano iniziamo a rilassarci. Come antipasto assaggiamo quattro varietà diverse di pomodori con basilico, arachidi e latticello. Ci consigliano poi il cast iron chicken, il pollo cotto in un tegame di ghisa. Ne ordinerei una seconda porzione, ma voglio ancora assaggiare la torta di ricotta alle pesche.
Dopo il caffè non abbiamo più scuse per restare, soprattutto quando ci accorgiamo di essere tra i pochi clienti rimasti. Maggie ha ancora una sorpresa per noi: attraversata Hudson Avenue, ci conduce davanti a un cancello arrugginito e ci indica una costruzione bianca in fondo al viale.

Si tratta della Commandant’s House, che un tempo fu la dimora di un Commodoro della Marina Americana. Ci sono due auto d’epoca oltre il cancello, ma l’edificio sembra deserto.
“Isn’t it spooky?” domanda Maggie. Ha ragione: quel posto è sinistro, ma ha un fascino particolare. Verrebbe voglia di rimanere a Vinegar Hill ancora un po’ invece di farsi risucchiare dal caos di Manhattan, al di là dell’East River.

ILLUSTRAZIONE DI COPERTINA DI STEFANO TENTI – IN WORLD’ SHOES: TUTTI I DIRITTI RISERVATI ALL’AUTORE

23 pensieri riguardo “In viaggio col capo a New York: da Manhattan a Brooklyn

  1. No va beh, adoro il modo in cui scrivi i tuoi post! Sembra di leggere in un romanzo ( misto a ” il divaolo veste prada” versione italian :D) ci hai mai pensato a scrivere un libro? complimenti, davvero! Adesso leggo tutti i tuoi post mangerecci 😛

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  2. E si, mi sono incuriosita e sono corsa a leggere i tuoi racconti di viaggio in USA, il mio sogno praticamente. Sono arrivata nemmeno a metà post e ho avuto bisogno di scriverti. E indovina? Vado a leggere il commento di Flavia. Erano le stesse cose che pensavo anch’io; che scrivi bene, che pare a leggere un romanzo (ben fatto) e che davvero mi ricorda il Diavolo Veste Prada. Lo ammetto, ho poco tempo e leggo poco su pc. Però vi leggo e mi appassiono a tutti voi. Cavolo, però quanto scrivi bene. Non che le altre non lo siano, ma come per tanti altri, tu hai il tuo stile (tuo tuo, intendo) e ti distingui. E ora, fammi andare a finire di leggere che son curiosa. Ma scus, cosa è che facevi a New York?

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  3. Grazie Tiz per le tue parole, vuoi proprio farmi arrossire 😉
    Il segreto di questi racconti di viaggio con il mio (ora ex-) capo è la distanza nel tempo: quando ho cambiato lavoro sono riuscita a vedere il lato tragicomico di queste vicende, e ho pensato che raccontandole mi sarei fatta una risata, e magari l’avrei fatta fare anche ad altre persone. Però quando ero lì non ridevo tanto eh…
    A New York ci andavo spesso perché avevamo una sede anche là ma non ti dico il nome perché se il boss dovesse per caso leggere mi sa che lui non riderebbe tanto 😉 Però a breve ci saranno novità qui sul blog proprio su questo tema quindi stay tuned!

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  4. #inviaggiocolcapo mi ha subito incuriosito ed ora che ho letto,il primo post voglio leggere anche tutti gli altri. E sono star curiosa di sapere che lavoro fai… le rare volte in cui sono andata in trasferta per lavoro era per partecipare a fiere o corsi, ma a febbraio sono andata ad Istanbul con il mio capo per fare una formazione ai colleghi ed è stato semplicemente favoloso.

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    1. Non faccio più quel lavoro da qualche anno, anche perché sopportare quel boss era davvero impegnativo 😉 Però ora ci rido sopra 😂
      Istanbul non la conosco per nulla e vorrei andarci con mia madre, in caso ti chiedo consiglio. Comunque sei davvero fortunata ad avere un capo con il quale in viaggio si riesce a stare bene (e anche in ufficio, immagino).
      Grazie e buona domenica 😍

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  5. Sai quando mi piacciono i tuoi racconti di viaggio col capo e quanto ti capisco per aver vissuto situazioni simili (mai ai tuoi livelli però!). Di questo articolo mi è piaciuta la descrizione di una zona di NY – quella oltre il ponte – che è bellissima e affascinante che è incredibilmente New York molto più vera di quella delle vetrine e dei grattacieli di Manhattan con cui spesso si confonde la città.

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